mercoledì 31 ottobre 2012

Audio Track 07


The musici is in the heart
Audio Track 07
Domenica 14 novembre, Parcheggio ore 16:30
Il cantate aveva deciso di andarsene, sentiva di essere fuori luogo in quel momento, quei tre erano amici di Ichigo, di sicuro avrebbe preferito la loro compagnia piuttosto che la sua, era solo un estraneo per lui alla fine, nonostante desiderasse con tutte se stesso conoscerlo più a fondo.
Invidiava i tre, erano così tanto vicini al Vocalist, potevano passare con lui intere giornate, mentre per lui era così solo difficile anche il solo avvicinarlo, era già tanto se si fosse diretto lì quel giorno.
Sospirò prendendo il mano il cd che aveva preparato con lui, osservandolo con un'aria quasi malinconica, non era riuscito a darglielo alla fine, meglio così forse Ichigo non l'avrebbe mai potuto ricambiare.
“Non posso compere con Rukia vero?” pensò Grimmjow.
Appena l'aveva vista poco prima la sua gelosia aveva preso il sopravvento, non poteva farci nulla ogni volta che vedeva quella ragazza gli era impossibile non provare quel sentimento ostile.
Voleva essere al suo posto, avere la loro stessa affinità che c'era fra lei e Ichigo. I due amici da così tanto tempo che avevano un legame così forte e indissolubile che si chiedeva sempre se fra loro ci fosse qualcosa in più.
Il solo pensiero della chitarrista fra le braccia del vocalist lo irritava a dir poco e per questo motivo non poteva fare al meno di lanciarle occhiate di disprezzo, era più forte di lui, non l'odia in fondo ma non sopportava l'idea di vederli assieme, voleva essere il solo ad amare il ragazzo.
“Sono ridicolo” pensò andandosene via.


Domenica 14 novembre, Clinica Kurokawa ore 16:30
«Cosa ci faceva Jaegerjaques?» chiese la ragazza sorpresa. Grimmjow era l'ultima persona che si aspettava di vedere in compagnia di Ichigo.
A lei quel ragazzo non era mai piaciuto, avvertiva sempre una forte ostilità nel cantante era come se l'altro la odiasse e lei non poteva fare al meno di essere infastidita dai suoi sguardi non capendo nemmeno quale fosse la causa per cui ce l'avesse così tanto con lei.
«Era una visita di cortesia presumo.» disse il vocalist, non sapendo neanche lui esattamente il motivo per cui era tornato quel pomeriggio.
Gli aveva portato della frutta che avevano mangiato assieme, era stato strano, insolito, ma in fondo s'era sentito abbastanza bene in sua compagnia, almeno fino al quando non assunse quello sguardo odioso, si sentiva dannatamente a disagio quanto lo guardava sembrava quasi volerlo uccidere solo con gli occhi.
«A proposito tu come stai?» chiese la chitarrista preoccupata per la sorte del compagno.
«Bene, non vi preoccupate, è tutto a posto.» cercò di sorridere il più naturalmente possibile.
Rukia che ormai conosceva bene Ichigo, sapeva che quando l'amico sorridesse in quel modo cercava di non far preoccupare i suoi compagni. Era una difesa, sapeva che Ichigo non volesse addolorarli, ma in quel momento il comportamento del ragazzo l'infastidiva molto.
«Ichigo, cosa ti sta succedendo? Sei malato? .» domandò a ragazza
«…No sto bene davvero.» continuò a sorridere
«Ichigo! Dimmi la verità? Che hai? Sei malato a cuore vero?» chiese all'amico.
«Sì.» disse infine il vocalist.
«Perché non ci hai detto nulla Ichigo?» chiese infuriandosi la ragazza
Non aveva intenzione di dire ai tre la verità, non osava immaginare cos'avrebbe fatto se avesse saputo che lui non voleva la loro compassione, se avessero saputo qualcosa sulle suoi condizioni di salute gli avrebbero impedito di cantare e lui senza canto proprio non viveva. Per questo motivo aveva nascosto a loro le sue condizioni di salute, semplicemente perché per lui cantare era la cosa più importante del mondo.
«Ichigo? Rispondi? Diamine siamo tuoi amici, per chi cavolo ci prendi? Baka*! Baka! Baka! Baka!» disse arrabbiandosi «Perché soffri in questo modo da solo? Noi non siano i tuoi amici? Non esistiamo per questo?» i suoi occhi iniziarono a diventare lucidi «BAKA! Ci siamo preoccupati da matti per te sai? E tu ora non ci vuoi dire nemmeno perché non ci hai mai detto nulla. Quando fai così sei solo un BAKA!»
La ragazza non poteva credere alla stupidità del compagno, per chi li aveva presi, era sua amica, così come Renji e suo fratello. Poteva contare su di loro, non erano di certo estranei.
«Almeno…Ichigo…è molto grave?» chiese dopo essersi calmata un po'
«Sembra che mi resti solo un mese di vita.»
«“Solo un mese”?» disse arrabbiata la ragazza «Ti resta solo un mese di vita e non ci hai detto nulla?» Rukia s'infuriò, la sua sopportazione era al limite. D'impulso lanciò la busta con i libri che caddero ai piedi del letto.
«Rukia Calmati! Siamo in una clinica» disse il fratello.
«Dicci perché! Dicci perché non ci hai mai detto nulla.» I suoi occhi non riuscivano quasi più a trattenere le lacrime causate dalla rabbia e la tristezza che provava in quel momento.
Il vocalist non aveva mai visto la ragazza in quello stato, non si era mai arrabbiata così tanto da piangere, non voleva di certo che Rukia soffrisse così per colpa sua. Non riusciva a vedere la chitarrista in quello stato, era colpa sua se fosse così infuriata, forse era meglio dire la verità.
«Mi…avreste cacciato dal gruppo.»
«Cosa? E solo quello il motivo? BAKA!» disse la ragazza scappando dalla stanza.
«Vado a cercarla!» disse Renji iniziando a correre dietro l'amica..
Nella stanza ormai erano rimasti sollo loro due, Byakuya e Ichigo.
«Ichigo, cerca di perdonarla, lei in fondo ti vuole bene.»
«Sono io che mi dovrei scusare con tutti voi.» disse il ragazzo posando lo sguardo fuori alla finestra intravedendo la figura la chioma azzurra di Grimmjow uscire via.
Domenica 14 novembre, parco ore 16:45
Iniziò a correre senza sapere dove andasse, non le importava dove arrivasse voleva stare solo stare lontana lontana da quel Baka di amico che si ritrovava.
Arrivò fino in un parco poco distante, i bambini ancora non erano nei paraggi, con quel freddo dubitava che giocassero all'aperto, quindi si sedette sopra una delle altalene che c'erano in diro.
Possibile che per lui era più importate il canto che la sua salute, non poteva credere che fosse quello il motivo non aveva rivelato le sue condizioni di salute.
Talmente forte era la rabbia e il rancore miste a quella terribile delusione e amarezza che Rukia non riusciva a trattenere le lacrime. Le gocce che scendevano dai suoi occhi si depositavano sopra il terreno, lasciando piccole macchie che inumidivano il terreno.
è tutta colpa sua…se ci avesse detto prima…se avesse palato prima con noi” si asciugò gli occhi, inzuppando i polsini della camicia bianca che portava sotto il giubbotto.
Rukia iniziò a dondolare, sperava che in quel modo che il suo terribile umore sarebbe completamente sparito.
«Rukia!» era la voce di Renji «Ti ho trovata.»
Si sedette vicino all'amica, cercando di poterla confortare.
«Renji…secondo te…perché non ci ha detto niente?» domandò la ragazza dopo aver smesso di piangere, non voleva che che l'altro la vedesse in quello stato.
«Ichigo? Sai com'è fatto, è sempre stato troppo orgoglioso, voleva sembrare forte e probabilmente non ci voleva far preoccupare.» disse il ragazzo.
«Ma hai sentito cos'ha detto? Si preoccupa più della carriera che della salute..»
«Io credo che mi sarei comportato come lui.»
«Cosa?» chiese stupita
«Se una malattia m'impedisse di suonare, dubito che avrei dato retta ai medici e continuerei senz'altro a far parte del gruppo.»
«Ma è da pazzi!»
«Cerca di capire Ichigo per lui il canto è tutto. Tu l'avessi fatto cantare?»
«Certo che no! È malato.»
«Però…se noi gli impediamo di cantare lui come si sentirebbe?»
«Non lo so.»
«Vuoto, non saprebbe dare un senso alla vita, ma quando canta si sente pieno, soddisfatto e non gli importa se è malato, lui vuole cantare.»
Rukia non riusciva a capire il ragionamento di Renji, il loro amico era malato, e da come gli aveva appena detto aveva solo un mese di vita, quindi come faceva a cantare? Per lei era più importate pensare a loro stessi e poi al lavoro. Non gli era mai saltato in mente che qualcuno potesse pensarla diversamente.
«Ma così finirà solo con l'uccidersi.»
«E se il canto fosse la sua ancora di salvezza?»
«“Ancora di salvezza?” Che intendi dire?»
«Già…pensa se Ichigo canta proprio per lottare contro la malattia? Tu impediresti ancora di farlo?»
«Io…se lui è malato…credo comunque che non dovrebbe cantare…Tu cosa avresti fatto? Lo faresti cantare anche sapendo le gravi condizioni di salute?»
«Se lui vorrebbe farlo sì, è una sua decisione e noi dovremmo appoggiarlo, siamo un gruppo no?»
Aveva capito cosa voleva dirle Renji, però era dello stesso parere che non doveva più cantare, doveva restare al riposo fare qualcosa che non avrebbe causato un aggravamento della sua salute. Non voleva che un suo amico potesse morire, almeno per non far soffrire la sua famiglia, lei sapeva cosa significava perdere qualcuno, i suoi genitori adottivi erano morti così giovani, c'erano giorni in cui le mancavano incredibilmente tanto e avrebbe voluto averli al suo fianco.
Anche sua sorella maggiore era morta, anche se l'aveva conosciuta solo per un breve periodo, visto che lei e Byakuya s'erano sposati, contro il volere della sua famiglia, si era affezionato a lei in un modo incredibile, forse perché a differenza del fratello adottivo con lei aveva un vero legame di sangue e nonostante non fossero cresciute assieme aveva sofferto davvero tanto quand'era morta.
«Ho capito…però mi fa davvero male nel sapere che non si confida con noi…siamo suoi amici dopotutto.»
«Si, lui ha sbagliato…lo so…ma non dobbiamo comportaci male con lui, dobbiamo stargli vicino in questo poco tempo che gli rimane.»
«Hai ragione, però…sapere che una persona a cui tengo fra poco morirà, io non posso fare al meno di sentire un dolore al petto.» disse la ragazza ripensando ancora una volta ai suoi gentirori e Hisana.
«Sei innamorata di lui per caso?»
«No!» disse la ragazza «Solo che penso ai suoi familiari, proveranno lo stesso dolore che sentiamo io e.» Non riuscì a dire il nome di suo fratello, all'improvviso si era resa conto che anche per Renji doveva essere brutto, visto che era Byakuya era ancora innamorato della defunta moglie. «…Come ti è venuta una domanda simile?» cambiò discorso sperando che non avesse fatto soffrire troppo l'amico.
«Era già da parecchio che avevo quest'impressione.»
«Ti sei sbagliato, io considero sia Ichigo che te solo come miei amici.»
Era la rima volta che parlavano di cose come l'amore, e non riusciva a credere che ci fossero arrivati così facilmente. Pensava che era impossibile parlare con lui di certi argomenti, ma evidentemente era solo lei che lo pensava. Se era così allora doveva farlo sfogare, anche lui ne aveva bisogno come aveva appena fatto lei. Doveva far uscire dalla bocca di Renji tutto quello che nutriva per il fratello.
«Renji.»
«Si?»
«Tu…hai scritto una canzone?»
«Lei hai lette già.»
«Non sto parlando di quelle sciocche e mediocri, ma della canzone che hai scritto per Nii-Sama.»
Renji per poco non cadde dall'altalena, era rimasto di stucco, era sicuro di aver tolto tutte le canzoni che gli aveva dedicato prima di darle all'amica. Quindi era impossibile che Rukia avesse letto quelle che aveva per suo fratello, quindi com'era possibile che si fosse accorta della cosa?
Alla fine si ricordò di quella che involontariamente aveva inserito nelle tasche dei suoi jeans.
“No! L'ho persa!” pensò il ragazzo “deve essermi caduta prima. Oh no! L'ha tetta?.. Cavolo.”
«Cosa provi per lui? Lo ami?»
«Sì, sono innamorato di Byakuya-san.» ormai che l'aveva scoperto non se la sentiva di tacere. «Mi odi per questo?»
Rukia si alzo bruscamente dall'altalena, in pochi istanti Renji se la trovò dietro e l'unica cosa che sentì fu solo il calcio della ragazza che gli arrivò sul sedere, per poco non si rompeva il viso andando a sbattere per terra.
«Ma sei pazza Rukia? Baka! Ci mancava poco che mi cambiassi i connotati!» disse sfiorandosi il sedere dolorante dal colpo appena Ricevuto.
«Oh scusa Renji ma sei tu il Baka qui!»
«Eh?»
«Come ti è solo venuto in mente che avrei potuto odiarti solamente perché sei innamorato di Byakuya. Tu sei un mio amico qualunque sia il tuo orientamento sessuale, Renji rimarrai sempre lo stesso, nessuno potrà mai cambiarti nonostante il fatto che tu sia innamorato di un uomo.»
Il bassista non riusciva a credere alle suo orecchie, forse era così impaurito dalla cosa da non rendersi conto che le sue paure fossero infondate doveva immaginarlo in fondo che l'amica avesse accettato la cosa.
«Renji non posso credete che tu abbia pensato una cosa simile su di me…mi hai deluso assai, siamo o siamo amici?» si avvicinò tendendogli la mano per farlo alzare.
«Scusa.»
«Dimmi, stai male? Stai soffrendo?» chiese Rukia
Ci fu un incredibile istante di silenzio da parte del Bassista, e prima di parlare tirò un secco respiro per far scacciare l'ansia «…Come vuoi che mi senta scusa? Ci sono giorni in cui sto davvero male. So che lui non mi ricambierà mai e questo mi uccide.» i suoi occhi mostravano all'amica tutta la sofferenza che provava, erano talmente disperati da farle provare un senso di angoscia nel profondo del petto.
Non immaginava che Renji potesse soffrire in questo modo, doveva cercare di aiutarlo come farebbe una buona amica.
«Non devi dire così, se ti arrendi ora avrai già perso in partenza. Credi in te stesso! Credi nei tuoi sentimenti! Credi nel tuo amore! E vedrai che sarai ripagato in qualche modo»
«Ma Byakuya-san è ancora innamorato di tua sorella.»
«E allora? Se tu parti già con questa idea cosa credi che succeda? Non arriverai ma da nessuna parte. Bisogna sempre credere nei propri sentimenti anche se pensi non siano corrisposti al momento vedrai che in futuro potrebbero cambiare.»
«…Se avessi il coraggio…forse…ho paura…che lui…mi respinga.»
«Combattila allora! Se hai paura allora vincila. Se credi di non farcela prova e riprova finché non sarai in grado di dichiarati e se ti respinge almeno ci avrai tentato.»
Le parole di Rukia lo gli avevano dato forza, quella che a lui mancava per farsi avanti con Byakuya. Era proprio quello che aveva bisogno di sentirsi dire. Si chiedeva perché non aveva avuto prima il coraggio di parlare con la chitarrista, era stato un idiota a credere che la ragazza l'avrebbe odiato quando invece dove immaginare che l'avrebbe aiutato e dato speranza.
Era stato solo uno stupido e ora ne era consapevole, aveva proprio sbagliato a dubitare dell'amica.
Sentiva che prima o poi sarebbe riuscito a dichiararsi al bassista e se l'avrebbe respinto, sapeva che sarebbe stato doloroso ma doveva fargli sapere ad ogni costo l'amore che nutriva per lui.
* stupido/idiota

NOTE
Ecco il settimo capito della mai fan fiction, ho riscritto un po' di cose poiché non mi convincevano e ho cercato di renderle meglio, ma mi sembra peggio di prima XDXD

domenica 28 ottobre 2012

Death for love Prologo più capitolo uno parte A


Death for love
Morte per amore
Prologo
Non avevo idea di cosa fosse l’amore. In vita mia non l’avevo ancora mai provato e un po’ avevo paura di amare. La maggior parte dei miei conoscenti soffriva per questo sentimento, alcuni erano stati lasciati, altri vivevano lontani, altri ancora erano morti.
Oltre all’amore mi spaventava l’idea di una mia probabile morte. Che cosa avrei provato sul punto di morire? Sarebbe stata doloro? Avrei potuto evitarla?
Non credo che avrei potuto provare una paura più forte di questa.
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Morte, morte, io ero nato per causare morte, il mio unico scopo nella vita era far morire persone, di qualsiasi età, non facevo differenza tra buoni, cattivi, killer o manici. Uccidevo tutti quelli che mi capitava di desiderare la morte, solo incrociando i loro sguardi, potevo uccidere chiunque, anche a 100 miglia di distanza, non uccidevo per capriccio o per divertimento, era nella mia natura di Shinigami, dio della morte, avevo il potere di uccidere chiunque, anche la donna più bella del mondo, o la più pura. Tutto questo era per la mia sopravvivenza.
Tutto quello che avevo, non mi soddisfaceva mai, volevo provare una cosa, che pochi Shinigami apprezzavano, il sentimento che gli umani chiamavano amore.
Capitolo uno parte A
Il mio nome è Ilaria Austin, almeno quello era il mio cognome all’anagrafe. Sono stata adottata da una coppia di coniugi Americani che non potevano avere figli.
Mi adottarono quando avevo tre mesi tramite un orfanotrofio italiano. I miei veri genitori dovevano essere italiani ma non avevano lasciato tracce sulla loro esistenza. Fui abbandonata il giorno stesso in cui nacqui.
Ero una ragazza come tante, non mi definivo bellissima, anzi c’erano persone che lo erano molto più di me. L’unica particolarità che avevo erano gli occhi, le iridi erano azzurre con contorni verdi. Per il resto avevo tratti comuni capelli castani e lunghi fino alla vita e un viso normale.
Mio padre adottivo morì in un incidente stradale , la nostra auto fu investita a un camion. Fortunatamente io e mia madre uscimmo illese, ma nostro padre morì sul colpo.
Qualche anno dopo mia madre conobbe un affascinante produttore musicale, di cinque anni più grande di lei, dai bellissimi e lunghi capelli biondi. Si chiamava Taylor Parker. Aveva divorziato dopo aver scoperto che sua moglie prima di conoscerlo si prostituiva. Aveva anche un figlio della mia età, Christopher, ma tutti lo chiamavano Chris. Era il mio migliore amico. Era davvero un bravissimo ragazzo, dolce gentile e protettivo, anche se dall’aspetto non sembrava. Indossava sempre abiti da rockettaro, si tingeva sempre i capelli di colore diverso, dalle svariate tonalità, rossi, viola, fucsia, verdi, blu, alle volte persino multicolor.
Nonostante tutto Chris era un bravo e caro ragazzo, lo conoscevo davvero bene, era il mio più fidato confidente, i miei segreti così come i suoi erano al sicuro.
Non si notava a prima vista ma Chris era gay. Non era effeminato e quindi se non lo si conosceva bene non si poteva sapere. Tutti in famiglia erano a conoscenza del suo orientamento sessuale e lo trattavano sempre come sempre, compresa me.
Chris non era il solo omosessuale che conoscevo, avevo anche una zia Judy che viveva in un’altra città.
Quel giorno io e mia madre adottiva avevamo preso l’aereo di ritorno per New York. Eravamo andate a trovare mia nonna e il nonno. Ogni tanto sapevamo che faceva piacere vederci. Erano davvero buoni e mi trattavano davvero come una loro nipote. Da piccola passavo sempre tanto tempo con loro soprattutto in estate, dove andavamo in vacanza.
Il nonno mi raccontava storie fantastiche sulla sua infanzia e la nonna m’insegnò tutto quello che conosceva, a cucinare, cucire, ricamare e tanto altro.
Mentre ci trovavamo nella piccola casa della nonna, il nonno morì improvvisamente senza una ragione precisa. Anche se aveva novantacinque anni, li portava benissimo e non aveva nessun tipo di malattia.
Restammo un mese a far compagnia alla nonna finché non tornò mia zia Judy, una donna bellissima che io invidiavo molto. Aveva un fisico perfetto sembrava quasi una modella con quei lunghi e ondulati capelli biondi platino e il suo fisico slanciato e snello. Anche se aveva un bell’aspetto, il suo carattere non era dei migliori. Irascibile, scontrosa, si arrabbiava per un nonnulla e ogni volta che le domandavamo della sua compagna, lei ci guardava storto.
C’era una cosa strana nella casa dei nonni, non mi sentivo al sicuro ero a disagio. Avvertivo la presenza di qualcuno che mi osservava ventiquattro ore su ventiquattro e l’aria era impressa di un orribile odore di morto marcio.
«Ilaria» mi chiamò dolcemente mia madre «Svegliati, stiamo per atterrare >
Mi strofinai dolcemente gli occhi per guardare bene il viso di mia madre, dolcissimo con quei capelli rossicci e quelle lentiggini sul viso.
«Siamo già? Arrivate?.»
«Quasi, fra un po’ atterremo»
Quando l’aereo si fermò, tutti passeggeri scesero dal veicolo volante, avviandosi verso l’entrata dell’aeroporto e tutti recuperarono le loro valige.
Il cielo per quanto limpide fosse vi ci avvertiva una forza ostile, un potere oscuro e spaventoso provenire dall’altro. Avevo paura che qualcosa potesse succedere da un momento all’altro, ma a parte sentire occhi che mi osservano insistentemente, non ci furono problemi.
Ad aspettarci all’uscita dell’aeroporto c’erano Taylor e Chris.
«Come state?.» domandò Taylor a mia madre
«Ora bene, è stato un lungo viaggio e siamo un po’ distrutte.» disse posando le valige nel bagagliaio dell’auto decapottabile del suo nuovo marito.
«E tua madre?.»
«Si è ripresa un po’ dopo l’arrivo di mia sorella. Avrei voluto portarla qui ma si è rifiutata dicendomi che desiderava morire nella cosa dove ha vissuto con suo marito >
«Avrei voluto aiutarla.»
«Ora c’è Judy con lei, starà bene.» sorrise dolcemente
Il sorriso di mia madre era bellissimo e faceva scomparire le mie preoccupazioni, quasi non mi resi conto della terribile sensazione che avvertivo nell’aria.
«Ehi Ilaria come va?.» chiese Chris dolcemente
«Bene.» sorrisi per nascondere la mia angoscia «E tu?>
Chris sembrava più sereno dell’ultima volta che l’avevo visto, per mesi e mesi stava un po’ male per la rottura con un ragazzo. L’aveva lasciato per un altro e non aveva retto. Ora di sicuro stava frequentando qualcuno.
«Io? Io sto bene….» sorrise
Salimmo in auto e ci sedemmo nei posti posteriori dell’auto.
«… sai… sto conoscendo una persona.»
«Davvero? Sono felice per te… e che tipo è? Siete innamorati?.»
«mmm… lui non so… ha detto che voleva divertirsi un po’ con me….»
«Divertirsi? E a te sta bene?.»
Annuì «Akira mi ha aiutato molto… è riuscito a farmi dimenticare Adam… e incomincio ad innamorarmene sul serio… credo.»
«Se a te sta bene… non posso non appoggiarti… quando lo hai conosciuto?.»
«Nel parco vicino alla stazione… mi offrì una lattina di birra. Stavo girando alla ricerca d’ispirazione e proprio in quell’istante passò Adam col suo nuovo ragazzo. Io stavo ancora male per la rottura con lui e poi Akira mi tirò su il morale >
«Davvero? Ti ha fatto dimenticare Adam?.» chiesi stupita, nemmeno io ero riuscita a far nulla che ero la sua migliore amica. Akira doveva essere davvero un ragazzo speciale. «Toglimi una curiosità ha origini giapponesi?.»
«Si è giapponese, non mi ha voluto dire il motivo per cui è venuto a New York…» guardò il cielo sopra le nostre teste «Però anche se so che mi nasconde delle cose non posso far a meno d’innamorarmene .» tornò a fissarmi con il suo solito sorriso«E tu che mi dici di bello Ilaria? Hai conosciuto qualche ragazzo?.»
Diventai rossa come un peperone, Chris lo sapeva bene che io odiavo parlare di ragazzi se riguardava me.
«No… lo… sai… io… e i ragazzi… no….»
«Capisco..»
Appoggiai leggermente la testa sulle spalle di Chris e cullata dal vento che smuoveva i miei capelli sul viso finii per l’addormentarmi immersa nel dolce profumo che sentii addosso al mio migliore amico.
La mattina seguente mi risvegliai sul mio letto con la giacca di pelle di Chris. Era stato lui a portarmi nella mia stanza? Chi altro avrebbe potuto farlo?
Mi guardai intorno era da parecchio che vedevo la mia camera, mi era mancata molto. L’enorme letto ad acqua morbidissimo, la finestra luminosa che si affacciava sulla strada, la mia scrivania con il computer portatile, i raccoglitori dove avevo tutti i miei disegni, e le bozze dei fumetti che avevo intenzione di finire, la libreria con tutti i miei cd dvd, libri e i miei amati manga.
Appena mi resi conto dell’ora tarda, era quasi ora di pranzo. Mi diressi subito in bagno con gli abiti puliti, una maglia e un pantalone presi a caso dall’armadio. Non badavo molto a come mi vestivo o alle varie combinazioni non badavo molto al mio aspetto.
Dovevo essere stanca se avevo dormito per più di dieci ore di fila.
Dopo essermi cambiata scesi in cucina, sentivo l’odore della pasta cucinata dalla mamma. Era brava a cucinare piatti Italiani, forse lo faceva per me perché sapeva che io ero legata al quel Paese.
«Pasta col sugo….» disse Taylor sedendosi al suo posto «mi è mancata la tua cucina, Grace. Da quanto sei partita, Chris ed io abbiamo fatto l’abbonamento alla rosticceria >
«Sono contenta che ti piaccia la mia cucina.» disse sorridendo, «Senza di me sei perso.
«Già.»
Mia madre era più solare e sera, quando papà era morto, era entrata in una brutta depressione. Io ero piccola e non potevo fare nulla per lei. Non avevo ricordi chiari a parte il volto di mia madre con occhi spenti che guardava sempre nel vuoto.
Decisi di non interromperli, era da troppo tempo che non si vedevano e volevo lasciarli un po’ da soli.
Mentre mangiavo sul mio cellulare, arrivò un sms dalla mai migliore amica Jessica. La conoscevo dai tempi delle elementari, siamo andate insieme anche al liceo. Era una bellissima ragazza dai lunghi e riccissimi capelli biondi, gli occhi erano di una bellissima tonalità di verde, tendevano quasi al giallo. Era alta e magra, era solo corporatura e metabolismo non conoscevo nessuno che mangiava quanto lei. La invidiavo molto per questo.
Ilaria,so che sei appena tornata ma ho una cosa importate da dirti puoi venire a casa mia?”
Appena finii di leggerlo, salutai mamma e Taylor e uscii fuori andando al garage a prendere il mio scooter Kira. Eh già ero così stupida da dare il nome di un personaggio di un anime ad un veicolo. Appena me lo regalarono, mi fece pensare al quaderno di Light Yagami, era completamente nero e quindi decisi di dargli quel nome. Per renderlo personale incollai anche la K simbolo del personaggio di Death Note.
Presi il casco e avviai lo scooter. La casa di Jessica distava circa venti minuti dalla mia, prima che mia madre si sposasse con Taylor vivevamo abbastanza vicine.
Mentre viaggiavo l’aria s’impresse di quel terribile odore di morto marcio che avevo sentito per tutti il tempo a casa della nonna, era insopportabile e soffocante. Avevo un brutto presentimento, avvertivo una sensazione strana sensazione. Sentivo come se mi aspettasse il vuoto.
Cercai di non pensare a nulla se non contrarmi sulla strada. Guardavo i passanti attentamente stando attenta a non investire nessun passante. La mia concentrazione non servì a nulla quella sensazione non scomparve.
Mentre passavo con Light vicino alla casa discografica dove lavorare Taylor, intravidi Chris che salutava un alto ragazzo sui venticinque anni circa, dai lunghi capelli neri. Doveva essere il ragazzo di cui mi aveva parlato la giornata precedente.
Era un bel ragazzo ed ero felice per lui, ma così su due piedi Akira non mi convinse troppo sentivo che aveva qualcosa di strano. Forse era solo la mia immaginazione.
Li lasciai stare, e continuai la mia guida calma e sicura.
Circa dieci minuti arrivai al parcheggio che precedeva la casa di Jessica, c’era l’auto del suo ragazzo Paul. Era un aspirante scrittore di venticinque anni, aveva tre anni più della mia amica. Aveva origini Italiane come, infatti, il suo vero nome è Paolo ma tutto lo chiamavo in quel modo. Era altissimo, superava quasi il metro e novanta a parte quello era un tipo comune ne troppo bello ne troppo brutto, ma era simpaticissimo ed era bravissimo a raccontare storielle divertenti. Aveva occhi di un comunissimo castano e no aveva più i capelli.
Immaginai il motivo per cui mi avesse chiamata, Paul aveva chiesto a Jessica di sposarlo e lei voleva mostrarmi il suo anello di fidanzamento. Non avevo idea se la mia ipotesi fosse giusta o meno.
Suonai il campanello, Jessica mi accolse a casa sua con un bellissimo sorriso.
«Ilaria bentornata»
«Grazie… Jessica ti vedo più raggiante è successo qualcosa di bello?.»
«Si Paul… Paul… lui ha firmato un grosso contratto con una casa editrice per il suo romanzo horror… gli hanno dato un favoloso assegno… e… e mi ha regalato questo.» disse facendomi vedere il suo scintillante anello.
Era un anello stupendo, di oro bianco con diamanti incastonati attorno ad una pietra con un colore simile ai suoi occhi.
«È stupendo.» disse estasiata «A quando le nozze?.»
«Non lo so, forse l’anno prossimo.»
«Sono felice per te.»
«Grazie mille.»
Ero davvero felice per Jessica, sposarsi era la cosa che desiderava di più da quando era piccola e voleva che io le disegnassi un abito tutto per lei. Io l’avrei fatto volentieri.
Feci per abbracciarla, ma improvvisamente sentii una strana sensazione, la mia anima sembrava volermi uscire dal corpo. Sentivo un forte dolore al petto, e la testa mi scoppiava, vedevo tutto sfuocato. Stavo forse per morire?



sabato 27 ottobre 2012

L'ultima vacanza assieme


L'ultima vacanza assieme
 
Sapevo che dopo quell'estate non l'avrei più rivista per chissà quanto tempo, eppure continuavo a sperare nel mio profondo che non partisse così lontano, che non andasse studiare a Oxford, poteva benissimo continuare gli studi qui in Italia, assieme a me.
Volevo bene a mia a Margherita, la mia migliore amica, una sorella, quasi come se fosse stata davvero una mia parente di sangue ed era anche la ragazza che amavo.
Io e Margherita eravamo cresciute assieme, inseparabili fin da bambine e assieme abbiamo frequentato sempre gli stessi plessi scolastiche, iscritte agli stessi corsi e amato gli stessi libri, film, la stessa musica.
Era figlia di alcuni amici di mia madre, morti in un incedente aereo mentre tornavano da una Viaggio di Lavoro all'estero, non ricordo esattamente cosa facevano e nemmeno Margherita se ne ricordava.
Lei quel giorno si trovava da noi, i sua madre e suo padre l'aveva affidata alla mia famiglia finché non fossero tornati, ma non lo fecero, perché persero la vita. Lei a quel tempo non capì la gravità della situazione, e pensò infatti che i genitori fossero ancora a lavoro e sarebbero tornati a prenderla e li aspettava ogni giorno finché fatta più grande non capì la situazione.
Io le ero sempre stata vicina, e assecondavo i suoi stati d'animo, la facevo sfogare e mi prendevo cura di lei, quando era triste la facevo dormire nel mio letto e quando piangeva l'abbracciavo stretta a me finché non si calmava, e se non riusciva a dormire inventavo storie su noi due, in genere erano tutte ambientate nello spazio e stringevamo amicizia con gli alieni, oppure eravamo principesse rinchiuse in una torre e due bellissimi principi ci salvavano la vita. Queste erano le nostre giornate a quei tempi.
Margherita poi decise di studiare all'estero, lei era intelligente e di sicuro sarebbe riuscita a farcela, decisi di provare a seguirla volevo rimanere per sempre con la mia amica, però non ero come lei che era sempre stata la migliore, prendeva sempre voti altissimi, già alle elementari, io ero meno brava, studiavo quanto e come lei ma la mia mente non riusciva a riusciva ad assimilare tutte le cose. Se lei compito in classe di matematica lei prendeva ottimo, io prendevo buono, così come tutte le altre materie e negli anni a seguire.
I miei genitori la lodavano sempre e le dicevano sempre “I tuoi genitori saranno fieri di te” e lei sorrideva. Era bellissimo, dolce, sincero e pieno di riconoscenza nei loro confronti, era il sorriso più bello che avessi mai visto, n'ero totalmente innamorata fin da all'ora.
Un giorno lei mi disse, “Mariangela, voglio andare a Oxford, vuoi venire con me?” io le sorrisi, lei poteva farcela, io invece non avrei mai potuto entrare in un università così prestigiosa e infatti lei ci riuscì e io no.

Quella era l'ultima estate che potevamo passare insieme, e come ogni anno passavamo le giornate andando al mare assieme. Da quando avevamo sedici anni, avevamo smesso di andarci con i miei genitori e passavamo le giornate solo noi due. Quello era una di quei giorni, eravamo andate alla piccola spiaggia che si trovava vicino alla nostra casa al mare.
Era piccola e poco frequentata, non c'erano divertimenti di nessun genere, non c'erano animatori che intrattenessero le persone e non c'erano campi da gioco di beach volley come invece nelle altre spiagge vicine erano presenti. Ma a noi piaceva ugualmente e la frequentavamo ogni anno, perché quella era la nostra spiaggia che frequentavamo prima della morte dei suoi genitori.
Poco distante c'era una vecchia caverna negli scogli, da piccole andavamo spesso a giocare o ci nascondevamo per non farci trovare dai miei genitori, quando per esempio si arrabbiavano con noi e restavamo lì fino a sera.
«Mariangela?» mi chiese Margherita mettendo il suo volto sul mio «A cosa pensavi? Sembravi così triste...»
«Ah... nulla...» Non potevo dirle che stavo pensando alla nostra storia, in fondo io non avevo nessun diritto sulle sue decisioni, doveva scegliere lei se partire o no anche se desideravo che rimanesse con me.
«Mi dispiace che tu non sia riuscita ad entrare, volevo sul serio che anche tu venissi...»
«Non fa nulla, sapevo che non sarei mai riuscita... non sono brava come te»
«Non vuoi che io vada vero?» chiese lei guardandomi negli occhi.
I suoi di un azzurro stupendo, mi ero sempre chiesta come facesse ad esistere un colore come quello sulla faccia della terra. Erano intensi e ricchi di bellezza. Lei era la persona più bella che avessi mai visto e non erano solo i suoi occhi ad esserlo, anche i capelli, completamente lisci, forse persino più della seta e quel colore così splendete, era oro allo stato puro ed erano naturali, fin da bambina Margherita aveva avuto quel bellissimo biondo.
Io invece ero una ragazza comune, i mie capelli erano castani come la maggior parte delle ragazze che conoscevo, occhi dello stesso colore, l'unica particolarità che avevo era un neo vicino al labbro, ma nessuno sembra notarlo.
«Devi andare, tu hai studiato tanto.»
«Non mentirmi Mariangela, so che tu vuoi che io resta, dimmelo e lo farò.» disse sorridendo.
Quanto amavo quel sorriso, con il passare degli anni non era affatto cambiato, era rimasta sempre bello come lo ricordavo.«Andiamo a farci una nuotata? Oggi il mare è bellissimo e calmo.» cercai di cambiare discorso, non volevo mostrare i miei veri sentimenti, non volevo forzarla a fare qualcosa che non desiderava, se voleva andare a Oxford era meglio che lo facesse, non meritava di rimanere qui in Italia con me se non erano quelle le sue intenzioni.
Io a andai sulla spiaggia, avvicinandomi all'acqua ed entrando dentro con il costume che mi aveva regalato Margherita.. Era semplice, un bikini bianco con un fiore stilizzato nero sul seno, mentre il suo era il mio esatto opposto, nero con il fiore bianco, quello invece lo regalai io a lei. Amavamo comprarci le cose assieme, se lei desiderava qualcosa lo compravo io e se lo desideravo io me lo comprava lei.
Anche lei mi segui ci immergemmo sul fondale, cercando qualche conchiglia particolare, io ne trovai una bellissima bianca, era grande quando una mano ed aveva delle pieghe sulla parte superiore, l'avrei regalata alla mia amica come portafortuna per il viaggio.
Tornai sulla spiaggia, mettendo al sicuro la conchiglia che avevo appena trovato e iniziai a osservare il mare, era bello quel panorama, adoravo vedere il punto in cui il cielo sembrava unirsi con l'acqua, sapevo fosse solo un illusione ma per questo l'amavo.
Continuando ad osservare quel punto vidi uno spettacolo che avrei definito magnifico, Margherita emerse dall'acqua come fosse una sirena, il suo corpo perfetto immerso nel mare sembrava proprio fosse uno di quelle leggendarie creature. I capelli luminosi sembravano disperdersi nell'area, e le gocce sembravano piccoli diamanti preziosi dai quali apparivano miliardi di piccoli arcobaleni.
Era lei la mia amica, la persona che amavo, l'avevo sempre saputo, per questo non avevo mai avuto un ragazzo e lei invece si, era stata fidanzata per un anno con un ragazzo e l'aveva lasciato dopo poco aver capito che lui la tradiva, ricordo che li aveva trovati a letto a casa sua. Era rimasta male, molto più di quando era piccola, era delusa, era la prima volta in cui si fidava di qualcuno così tanto, ma io le ero stata vicina come nel passato, la facevo dormire con me e la coccolavo mentre le raccontavo quelle storie fantastiche come quelle della nostra infanzia, lei sorrideva e ogni volta mi ringraziava..
Quel giorno era l'ultima estate che passavamo assieme, perciò decisi di fare una cosa che non avrei mai osato pensare fino ad allora, la presi per un braccio e la iniziai a portare con me alla nostra caverna.
«Era da tanto che non venivamo qui.» disse lei toccando una parete, «Era il nostro luogo segre...» non aspettai che Margherita finisse la frase perché la baciai.
Non so se il mio bacio le piacque, ma cercai di essere molto passionale ma non so se ci riuscii visto che quello era stato il mio primo bacio.
«E questo?» chiese guardami stupita ma non era scioccata, solo forse non si sarebbe mai aspettata una cosa simile da me.
«Io... tu... mi piaci...» le dissi timidamente, sentii il mio volto bollente «Mi sei sempre piaciuta!»
Lei mi abbracciò, sentivo il profumo del mare su di lei, era un odore bellissimo.
«Mi fa piacere che tu provi questo per me» disse appoggiando le sua labbra sulle mie.
Ci baciammo ancora e ancora quel giorno, distendendoci per terra, poi la mia mano scivolò dietro la sua schiena, slacciando il suo costume e lei fece lo stesso con il mio.
I nostri seni erano completamente visibili ad entrambe, la mia seconda in confronto alla sua quinta non era paragonabile, bellissimo perfettamente simmetrico, l'avevo inviata molte volte per averne uno così, spesso vedevo i ragazzi osservarlo, mentre il mio nessuno si degnava di guardalo ma in quel momento Margherita lo ammirava con una strane espressione che non le avevo mai visto.
«Posso succhiarli?» mi chiese.
Io riuscì solo ad annuire imbarazzata.
Sentire le sua labbra carnose che succhiavano i miei seni e i capezzoli, era dolce e allo stesso tempo passionale.
Provai una magnifica sensazione, non so descrivere esattamente quello tutto nei dettagli, il mio corpo venne percorso da brividi piacevoli e mai fino ad allora sentì una tale emozione.
Lei mi toccò il corpo con le mani, accarezzandomelo più e più volte. Era un tocco delicato quasi come se fossi qualcosa di prezioso e unico per lei.
Fu così che iniziammo a fare l'amore dolcemente, nessuna delle due forzò l'altra, perché in fondo era una cosa che entrambe sembravamo desiderare.
Quello fu il mio ultimo ricordo della bellissima estate e meravigliosa estate in cui ebbi finalmente il coraggio di dichiararmi alla ragazza che aveva catturato il mio cuore fin dall'infanzia.
Ci promettemmo che nonostante quello che fosse potuto accadere in futuro noi due saremmo sempre state legate da un sentimento indissolubile, molto più forte sia dell'amicizia che dell'amore.

Note:
Ho partecipato a non ricorso concorso indetto da efp.

The protector: Atto tre


The protector
Atto tre
Erano passati quasi due anni dal giorno in cui Kegyto ed Ereho stettero insieme per la prima volta.
Entrambi innamorati ma nessuno dei due riusciva ad esprimere quello che realmente provavano, infatti, pensavano che l'altro desiderasse soltanto il rapporto fisico e per questo motivo non erano mai riusciti a confessarli

Quella era una serata senza luna e senza stelle, il cielo era così nuvoloso che non lasciava intravedere nulla. Gli animali erano agitati troppo agitati e Kegyto era preoccupato, sentiva che stava per accadere qualcosa, fuori all'aria che ricopriva la barriera che aveva eretto
«Cosa c’è Kegyto?»
«Nulla non ti preoccupare, continua a dormire»
«Tu sie preoccupato per qualcosa e non mi sbaglio, ti conosco troppo bene»
Kegyto accarezzò dolcemente la testa del ragazzo che si trovava al suo fianco.
«Non è nulla, sul serio.»
Ereho guardò con un sguardo rattristito il principe, ma cercò di non far scorgere quel suo stato voltandosi dalla parte opposta. Non capiva come mai lo continuasse a trattare come un bambino nonostante stessero sempre insieme, non palava mai con lui su quello che stava accadendo sul serio.
Gli aveva parlato di Hebys e della loro missione, ma sentiva che gli aveva nascosto gran parte della verità.
«Ereho...»abbracciò da dietro l'amato che udendo la sua voce aveva capito cosa volesse
«Non sono in vena oggi...»
«Ne sei sicuro?»sussurrò al suo orecchio «io invece desidero tanto stare con te ora»
Ereho non riusciva mai a resistergli, ormai dipendeva troppo dal sesso con il demone. Era sempre così intenso e passionale che era impossibile per lui farne al meno.
Il ragazzo credeva che Kegyto lo usasse solo per far colmare i suoi istinti, d'altronde era l'unico con quale potesse farlo in quel luogo era allo stesso tempo felice e triste.
Anche il principe provava le stesse sensazioni di Ereho, pensava che volesse solo provare piacere che non fosse innamorato di lui.
«Kegyto... ho detto... di..»ormai era tardi le labbra del demone erano già appiccicate alle sue.

Attorno al palazzo reale del regno dei demoni una fitta nube nera circondava la cima della montagna più alta, quella in cui si trovava il sigillo che impediva a Hebys di uscire.
«Yadaw svegliati!»gridò una giovane demone bussando violentemente contro una porta nera.
«Mashiya... che c'è?»domandò una voce maschile aprendo la porta.
Davanti alla ragazza apparve un alto demone, dai medio-corti capelli rossi che gli arrivavano fino al collo,e due enormi occhi verde chiaro.
Indossava quella una paio di pantaloni verdi e sopra quella che sembrava una camicia bianca.
«cambiati subito! Sta succedendo qualcosa di insolito alla montagna. Andiamo a controllare»
«Ma c'è Ishuk lassù no?»
«Si, però ha mandato un messaggio dobbiamo andare subito a controllare. Credo che stia succedendo qualcosa di davvero preoccupanti, non la senti che aria tesissima?»
«Ora che mi ci fai pensare, oh no...»
«Cosa c'è? La barriera si sta infrangendo, vai a chiamare Kehor! Dobbiamo mandarlo da Kegyto!»
« L'ho già chiamato ora credo si stia dirigendo proprio da nostro fratello.»
«Stai proprio diventando grande, piccolina»
«Ti ricordo che ho già cento anni»disse puntualizzando la sua età
Yadaw accarezzò i capelli della sorella minore, come faceva quando erano bambini.
I capelli di Mashiya erano dello stesso colore e nessuno avrebbe fatico a riconoscerne la parentela Gli occhi erano più chiari come il colore della madre, la pelle era la stessa del loro defunto padre.
Solo Kegyto aveva ereditato completamente i tratti della madre erano praticamente due gocce d'acqua, Yadaw lo era del padre e Mashiya li aveva mescolati.

Kehor volava più velocemente che poteva, da Kegyto, doveva avvertilo dell'imminente pericolo.
Era già stato una volta alla capanna, una volta il piccolo Ereho stava talmente male che lo dovette curare con i suoi poteri. Quanti anni aveva allora? Uno al massimo due, chissà se l'avrebbe riconosciuto. Poco ci sperava.
L'angelo velocizzava sempre di più la velocità del volo, si era reso conto che gli animali era fin troppo agitati, il pericolo era davvero più grave di quello che voleva sembrare
Dove iniziava la barriera eretta da Kegyto? Non lo ricordava, si stava perdendo dentro quella foresta. Erano troppi anni che mancava da li, l'amico non gli aveva fatto avere ne sue notizie e non aveva chiesto più il suo aiuto. Immaginava che fosse sempre impegnato ad allenare Ereho.
Provò a concentrarsi, probabilmente avrebbe potuto avvertire la presenza di quella barriera, era stata eretta proprio per permettere solo a loro tre di oltrepassarla, quindi non c'erano problemi se la cercava.
Avvertiva il debole potere in lontananza, vero est, dove c'era un piccolo
“Devo sbrigarmi” pensò l'angelo aumentando la velocità
La capanna era più lontana di quello che immaginava, quanto altro ancora doveva volare?Era stanco e le sue ali sembravano non volerlo più rispondere ai suoi comandi ma doveva farcele, quella era una questione di vita o di morte non un capriccio o altro.

Le labbra del demone si muovevano sul copro dell'umano, stava baciando tutto di lui. Era davvero una sensazione stupenda avvertire la lisce e morbida pelle di Ereho sotto la sua bocca, era così delicata che assomigliava quasi alla seta.
Ereho invece non riusciva proprio a resistere, appena aveva iniziato a baciarlo i suoi sensi si erano come paralizzati e per lui esisteva solo quel demone. Era proprio così, a parte Kegyto non conosceva nessun altro, tutto quello che aveva imparato sugli essere umani lo doveva proprio al principe visto che lo aveva istruito come avevano fatto con lui.
«Ke... Kegy..to»
Aveva pronunciato il suo nome in modo così sensuale, che non resisteva più, doveva farlo suo ma prima doveva prepararlo.
Desiderava tanto stare con lui, non perché trovava solo piacere ma anche perché quelli erano i pochi momenti in cui poteva stare con Ereho senza fargli accorgere quello che realmente provava.
Le emozioni che lo inondavano quando stavano assieme erano erano troppo intense e nemmeno lui riusciva a descriverle. Una delle poche cose che riusciva a comprendere era il non poter rinunciare a Ereho.
Stava preparando ancora il corpo del ragazzo quando sentì strani rumori proveniente fuori dalla capanna. Qualcuno o qualcosa era caduto sfondando la porta, non ci fece troppo caso e continuò a con concentrarsi sul corpo dell'ammanto.
«Ke... Kegyto … c...c'è qualcuno la fuori guarda!»disse il ragazzo facendolo voltare.
Kegyto si volto, davanti ai loro suoi occhi, c'era una massa di biondi, e piccole piume sparse per il pavimento. L'unica persona che era capace di cadere in quel modo la conosceva fin troppo bene. Cosa ci faceva in quel luogo non l'aveva mai capito.
«Kehor?»domandò il demone
«Certo che sono io...»disse alzandosi e spolverandosi la vecchia tunica bianca
Il volto dell'angelo cambio rapidamente colore davanti alla scena che aveva davanti, vestiti gettati in preda alla passione, il corpo dell'amico sotto quello del piccolo Ereho.
Cosa diavolo stava stava succedendo in quella capanna? Quei due stavano spassandosela mentre il regno dei demoni era minacciato da qualcosa d'insolito?




The protector: Atto due


The protector
Atto due
Kegyto costruì una capanna poco dopo il ritrovamento di Ereho, dove lo aveva cresciuto per circa vent’anni, accudendolo con le proprie mani, come se fosse suo figlio, educandolo, e gli spiegandogli la loro missione, lo allenava quasi tutti i giorni, a schivare attacchi, a farlo attaccare con due spade che gli aveva regalato, dotate di un forte potere magico, che era in grado di usare solo lui, siccome quelle spade erano del “protettore umano” e rispondevano solo al loro potere e alla loro stella.
Kegyto aveva costruito una capanna anni prima, giusto per farlo vivere in un luogo sicuro, visto che aveva sigillato quel posto con una magia, creando una specie di barriera, che permetteva solo a loro due di poter vedere quel posto.
Ereho era cresciuto sano e forte, da piccolo era molto vivace e si cacciava spesso nei guai, disturbava animali che dormivano e questi lo iniziavano a rincorrere, rubava le ghiande agli scoiattoli, andava spesso a lago e rubava le uova delle papere, ma tutto questo facevano arrabbiare Kegyto e gli colpiva la testa con dei forti pugni.
Crescendo Ereho si era calmato, non era vivace come da ragazzino, era diventato molto più maturo e consapevole della sua missione, prestava molto attenzione agli allenamenti, ed viveva sempre con il sorriso sulle labbra, era molto positivo e non si scoraggiava facilmente.
In quell’istante Ereho si trovava al lago, dove si recava spesso per lavare i vestiti, e nel frattempo che si asciugavano al sole, faceva un bagno, quel giorno il sole era ricoperto da una vasta corte di nubi, gli abiti non si erano asciugati, doveva tornare, altrimenti Kegyto si sarebbe preoccupato per lui e lo avrebbe andato a cercare.
Ereho nuotando andò alla riva, con un asciugamano si asciugò tutto, si legò i suoi capelli neri, prese in mano l’armature che Kegyto gli aveva forgiato ed alla quale era molto legato, e iniziò a tornare alla capanna.
Un silenzio assoluto lo circondava, strano visto che in quella zona c’erano molti animali selvaggi, insetti, e volatili, doveva stare attento, stava succedendo qualcosa di strano.
Mentre si dirigeva alla capanna due strane ombre lo iniziavano a seguire, dall’aspetto sembravano due umani.
«Ti sei perso ragazzo?» disse ubriaco l’uomo «mmm… ehi … ah… tu sei un prostituito?»
Ereho non rispose… iniziò a correre verso la capanna, ma inciampò su un sasso e cadde per terra.
Uno dei duomi uomini lo raggiunse davanti mentre l’altro dietro.
L’uomo dietro di lui si avvicinò, strappò gettando il pantalone di Ereho in aria, e iniziò mentre l’altro uomo iniziò a fermarlo per le braccia
«Lasciatemi…» disse Ereho dando un calcio verso l’uomo che si trovata di fronte a lui
I due uomini erano più tenaci di quel che pensasse, voleva difendersi con le sue katana, ma le aveva lasciate nella capanna.
L’uomo gli tolse l’armatura e incamiciò a toccargli i muscoli
«Ke… Kegyto!!!!» gridò Ereho con tutto il fiato che aveva in gola, sperando che lo avesse sentito.
L’uomo che gli bloccava le braccia, strappò un lembo dal suo vestito e con quello gli bloccò la bocca, poi prese due corde, con una legò le caviglie di Ereho, e con l’altra i polsi.
Ereho voleva fare qualcosa ma non riusciva a muoversi, non poteva gridare aiuto, ed il suo corpo era legato da quelle corde, ma erano troppo strette per riuscire anche a muovere le mani.
«Kegyto… salvami…!» pensò Ereho, e la stella rossa che aveva sulla fronte s’illuminò emanando una luce rossa intensa.
I due uomini non sapevano cosa fosse successo ma fecero finta di nulla, volevano continuare la loro opera, ma improvvisamente da un albero apparve un’ombra, man mano che si avvicinava s’incominciò a vedere un volto, era leggermente stupito, nel vedere una scena del genere, ma subito dopo, cambiò espressione era arrabbiato, isterico.
I due uomini guardare in faccia quell’essere non era umano, aveva il torso nudo, e si vedevano sulle spalle, braccia, polsi e sulla faccia, c’erano strano segni le suo orecchie erano a punta, non erano di certe umane, erano quelle di un demone, scapparono via subito lasciando Ereho legato come un salame.
Il demone guardò in cagnesco il giovane Ereho, si avvicinò e con tutta la forza che aveva gli diete un pugno sulla testa.
«Ahia Kegyto!>> disse Ereho mettendosi le mani intesta
«Così impari, ti ho detto mille volte di non passare per questo sentiero, ma tu no… passi sempre di qua! Lo sai che la mia barriera non copre questo sentiero» disse Kegyto ancora arrabbiato
«Non arrabbiarti! Stava per venire a piovere e i vestiti si sarebbero bagnati!» provò a difendersi
«Non trovare scuse! Lo sai che non posso permettere che tu muoia! Devo proteggerti per ora, sei ancora debole, non sei nemmeno in grado di usare il potere delle Katana! A proposito, ti ho detto mille volte di portarle con te!» disse mentre avvicinava la sua testa a quella di Ereho.
«Ma Kegyto…»
«Ma un corno!>> Mise un dito vicino al petto di Kegyto «Tu non lo sai quando sia facile per un umano morire, e poi guarda cosa ti hanno combinato, i tuoi pantaloni, devo andare a comprare un altro paia…»
«non è colpa mia…»
Kegyto liberò Ereho strappando a mori le corde perché troppo strette, sui polsi e caviglie del ragazzo erano rimasti i segni rossi della corda.
«Andiamo forza!»
Kegyto incominciò ad avanzare verso la capanna, Ereho l’ho iniziò a seguire senza esitare, camminandogli dietro.
Arrivati alla capanna Kegyto ed Ereho cenarono, per poi andare a dormire nel letto arrangiato, con asse di legno e un materasso fatto con un lenzuolo comprato nella città vicino e piume di uccelli vari che trovarono per terra.
Quella sera Ereho non riusciva a dormire, si voltò verso Kegyto ed iniziò ad osservare il suo volto, quel viso appuntito, quei bellissimi capelli argentati, quella pelle color cioccolato, sentiva una strana sensazione dentro di lui quando lo guardava in quel modo, non riusciva a comprendere quello che provava, ma sapeva che non era normale.
Kegyto si girò verso Ereho.
«Kegyto sei veglio?» domandò il ragazzo
Gli occhi del demone si aprirono mostrando all’umano della bellissima tonalità di azzurro chiaro.
Il cuore del ragazzo iniziò a battere velocemente ma non capiva cosa volesse dire.
«si… non riesco a dormire, anche tu?»
«si…»
I loro sguardi s’incrociarono per un lunghissimo istante, gli occhi verdi di Ereho si erano persi in quelli azzurri di Kegyto, e viceversa.
Senza rendersene conto, le loro labbra si avvicinarono e si baciarono con passione.
Kegyto appena riprese conoscenza delle sue azioni, staccò di scatto le labbra da quelle di Ereho.
«Ke..Kegyto… tu…» disse l’umano un po’ stupito
«Torna a dormire è meglio…».
Kegyto si era voltato dall’altra parte, non riusciva a credere a quello che aveva fatto, si sentiva strano in questi tempo, era sempre attratto da Ereho.
«Kegyto…» disse l’umano mettendo la mano sulla spalla del demone.
Kegyto sentiva l’odore di Ereho sulla sua pelle, ed era una tentazione troppo forte per lui, non riusciva a resistere, si girò verso il ragazzo.
«Dormi…»
Kegyto lottava contro la tentazione di rendere suo Ereho, il suo copro desiderava ardentemente quello di Ereho.
Ereho avvicinò le sue labbra a quelle di Kegyto, dandogli un bacio appassionato, stavolta si staccarono con lentezza e dolcezza.
«Ereho?>>
«mi era piaciuto… sai era proprio la sensazione che volevo sentire…»
«… ti prego dormi…» disse Kegyto
«Perché? Non riesco a dormire…»
«Altrimenti non resterò più…. »
Ereho prese la mano di Kegyto intrecciandola alla sua.
Kegyto non riusciva più a resistere, prese il corpo di Ereho portandolo sotto di lui, inizio baciarlo con passione.
Kegyto ed Ereho s’iniziarono a togliere i vestiti, iniziò a baciargli il collo, scese fino al seno e gli iniziò a leccare i capezzoli, con la mano gli toccava la vita per poi accarezzagli il sedere.
«ah… Kegyto…» disse Ereho mentre abbracciava le spalle del demone.
Kegyto avvicinò le labbra a quelle dell’umano mentre lo iniziava penetrare.
Ereho prova un misto di dolore e piacere, si sentiva sicuro e protetto fra le spalle di Kegyto, ed lì che capì che il sentimento che provava in questi giorni era amore
«Altrimenti non resterò più….»
Ereho prese la mano di Kegyto intrecciandola alla sua.
Kegyto non riusciva più a resistere, prese il corpo di Ereho portandolo sotto di lui, inizio baciarlo con passione.
Kegyto ed Ereho s’iniziarono a togliere i vestiti, iniziò a baciargli il collo, scese fino al seno e gli iniziò a leccare i capezzoli, con la mano gli toccava la vita per poi accarezzagli il sedere.
«ah… Kegyto…» disse Ereho mentre abbracciava le spalle del demone.
Kegyto avvicinò le labbra a quelle dell’umano mentre lo iniziava penetrare.
Ereho prova un misto di dolore e piacere, si sentiva sicuro e protetto fra le spalle di Kegyto, ed lì che capì che il sentimento che provava in questi giorni era amore. 

The protector: Atto uno


The protector
Atto uno
Il sole era alto nel cielo, fisso sulla cima montagna, dove 5000 anni prima era stato sigillato un demone Hebys, che aveva devastato i tre regni in cui era diviso quel mondo. Hebys voleva avere il potere e controllare i tre oggetti magici, ma fu fermato grazie ai “protettori”, i principi di tre regni, quello demoniaco, angelico e umano, il demone riuscì a sigillare Hebys al costo della sua vita, ma ora quel sigillo si stava spezzando.
Tutti nel regno demoniaco era preoccupati, anche lui, il principe dei demoni e discendete del precedente Protettore che sigillò Hebys, il suo nome era Kegyto ed era molto famoso per la sua forza fisica e potenza magica, riusciva ad usare il potere dei quattro elementi (terra, fuoco, aria, acqua), la magia nera e quella di sigillo.
Fin da piccolo Kegyto è stato addestrato dai migliori maghi e combattenti del regno, perché doveva diventare forte, doveva essere in grado di difendere il regno in caso di pericolo e quella situazione non era poi così lontana
Kegyto inoltre era considerato anche il demone più bello di tutti, aveva dei lunghi e folti capelli grigi, che legava spesso in una coda da cavallo, a volte in una treccia, a volte in una coda un po’ di morbida, altre volte li lasciava lisci, le orecchie erano a punta, la sua pelle era di un colore marrone quasi scuro, sul corpo c’erano dei piccoli segni fucsia e davano molto nell’occhio, segno che lo distingueva da tutti gli altri demoni era la stella nera simbolo del protettore demoniaco
Kegyto stava osservando il sigillo, scrutandolo e capendo la sua costituzione, ma non riuscì a farlo bene, era troppo complesso, decise quindi di rafforzarlo con il suo potere.
«Non durerà molto! … per ora non posso fare molto… il sigillo e debole, posso rafforzarlo per un po’ ma durerà circa una ventina d’anni… non sono in grado di far molto» disse Kegyto mettendo una mano sul monte « Können des Feuers, stärk Wasser können, der Erde können, der Luft können, schwarz können Mächte, die die Welt regieren, dieses Siegel!!
Kegyto dalla stanchezza si accasciò terra, stremato e senza forza, aveva usato troppo potere, non ancora abituato ad usare tutto questa forza.
«Principe, vi sentite bene?!» disse un demone grande, con dei lunghi capelli ricci e rossi come il fuoco, due occhi viola, ed una pelle pallida come la neve.
«Non è nulla… ho usato troppo pretere… va già meglio, non vi preoccupate!» disse mentre si alzava
Kegyto si alzò in piedi iniziò a fissare il demone che si trovava davanti
«Ho rafforzato il sigillo, ma non durerà a lungo… purtroppo non posso fare altro, era troppo complesso …»
«Capisco, se succederà qualcosa…»
«Ishuk… io devo andare nel regno umano» disse mentre guardava il cielo «devo trovare il discendente del mondo umano»
«Principe, ma nel regno umano , ci sono battaglie e guerre fra i vari villaggi, potrebbe essere pericoloso!»
<< Lo so … Ishuk… so che è pericoloso, ma devo trovarlo ed allenarlo, stavolta sconfiggeremo definitivamente Hebys, non ci limiteremo a sigillarlo, i protettori non erano pronti, ma noi invece lo siamo! Avverti Kehor, e dilli di nascondere in buon posto i tre oggetti sacri e di portarceli se Hebys si risveglierà» disse Kegyto mentre si avviava al palazzo reale
«Lo farò, ma voi state attento mi raccomando !»
«Si lo farò, Ishuk proteggi tu in mia assenza il regno!»
Kegyto dal palazzo prese degli abiti comodi dal palazzo, prese un cavallo e si diresse nel regno umano.
Mentre andava fuori fu fermato da una donna, bellissima, con dei lunghissimi capelli grigi come i suoi, lisci come la seta, un corpo magro, una pelle scura come la sua
«Madre…»
«Tesoro mio, sei diventato forte» disse la donna abbracciandolo «Kegyto, torna sano e salvo»
«si madre… starò attento» disse mentre baciava la sua mano
«Kegyto non dimenticare mai chi sei»
Kegyto salutò la madre ed andò via, non capì bene la frase della madre e andò a prendere dei vestiti, delle armi e un po’ di provviste e partì alla ricerca del discendente umano nel regno.
Il sole stava tramontando, e tingeva il cielo di un rosso intenso, Kegyto arrivò in un piccolo villaggio rovinato dalle terribili guerre che stavano dividendo il regno.
Lo scenario che vedere era orribile, bambini feriti, senza arti, uomini che lavoravano duramente per ricostruire, una donna bellissima dai lunghi capelli biondi-rossicci stava aiutando e medicando i bambini, si avvicinò per darle una mano, non amava vedere soffrire le persone, aiutò dove poteva, senza chiedere nulla in cambio.
La sera per l’aiuto svolto ricevette da mangiare e una stanza gratis, il cibo non era molto, una manciata di verdure, che diete ai bambini che gli erano vicino.
La sera andò a dormire, ma la stanza nona aveva finestre solo buchi dove passava la luce, non c’erano bagni.
Per il villaggio incominciò a sentire una puzza di bruciato, il villaggio stava andando a fuoco, quello vicino aveva teso un imboscata.
«… di questo passo moriranno tutti, devo andare dare una mano…»
Kegyto uscì dalla stanza di tutta corsa, tutto era in fiamme, alberi case, anche alcune persone, cercò di aiutare, ma andò a prendere il suo cavallo per poter far scappare delle persone, ma quando tornò tutto le fiamme erano si erano propagato troppo e non poteva fare più nulla, non era riuscito a proteggere nessuno. Mentre andava a prendere il cavallo s’incominciò a sentire un pianto da neonato, si avvicinò cercando di sentire da dove provenisse, un neonato, un neonato con una stella rossa, lui lo riconobbe subito era il discendente umano, lo prese in braccio e gli sorrise dolcemente
«Mi prenderò cura di te contento?» gli sorrise dolcemente «… il tuo nome sarà Ereho» disse con un bellissimo sorriso sulla labbra, che il bambino sembrò ricambiare

The protector: Prologo


The protector
Prologo

Tanto tempo fa il mondo era diviso in tre regni , quello degli umani, dei demoni e degli angeli, ognuno custodiva un oggetto che aumentava i lori poteri.
Un demone, Hebys accecato dalla sete di potere, iniziò a distruggere questi regni, i tre reali di entrambi i mondi unirono le loro forze e sigillarono il demone, furono noti e chiamati “I protettori”
Il mondo era ormai salvo, almeno tutti credevano così, ma il sigillo incominciò ad indebolirsi e Kegyto il dissidente del demone che sigillò al costo della sua vita il demone andò a cercare il discendente umano
Il regno umano era devastato da guerre senza fine, riuscirà Kegyto a trovare il discendete umano?
Note: I discenti hanno una stella in fronte, nera per i demoni, rossa per gli umani e bianca per gli angeli.
Il protettore umano diete in custodia all’angelo i tre oggetti in modo che fosse successo qualcosa sarebbe dovuto andare a cercarli

Tennis no Oujisama: Mitsukawabi Gakuen


Tennis no Oujisama: Mitsukawabi Gakuen
Prologo
Tirava una leggera brezza, quel pomeriggio, tipico di quel periodo autunnale che indicava la fine dell'estate.
Le foglie stavano già iniziando a mutare il colore e a depositarsi sul terreno che circondava gli alberi, gli uccelli avevano iniziato a migrare verso luoghi più caldi, mentre altri animali si preparavano per il letargo.
In un piccolo parco della città, si trovava un campo da tennis circondato da una piccola boscaglia che in quel periodo era più splendida che mai, almeno per Kunimitsu che in quel momento si stava allenando.
Quel posto su di lui aveva sempre avuto un effetto rilassate, adorava stare in quel campo, sopratutto in quel periodo dell'anno, che era quasi deserto come quel giorno. Spesso quando era afflitto da indecisioni, il silenzio che lo circondava quel luogo, aveva la capacità di aiutarlo nelle sue decisioni.
In quel periodo era terribilmente confuso, non sapeva infatti quale liceo scegliere, mancava ancora un po' per la fine dell'anno scolastico ma non aveva ancora le idee chiare sul futuro. Quasi tutti gli altri membri del club di cui era capitano avevano deciso in quale iscriversi, ma lui non aveva ancora preso una decisione, sapeva solo che voleva continuare a giocare a Tennis quindi cercava un istituto che avesse una buana squadra.
Il corpo del ragazzo era ormai segnato dalla fatica, aveva perso il conto di quanto si fosse allenato. Decise di fare una piccola pausa per riprendere fiato.
Si avvicinò alla panca dove precedentemente aveva poggiato la sua borsa, prese dall'interno la borraccia iniziando a bere il liquido che conteneva.
Non c'era niente di meglio dell'acqua dopo un intenso allenamento, tutte le energie perse sembravano essergli tornargli magicamente. Avrebbe potuto continuare ad allenarsi, ma decise di lasciar perdere ammirando il bellissimo scenario che lo circondava, adorava la natura e quel luogo era uno dei più belli che avesse visto.
Incominciò a pensare al suo futuro, le sue intenzioni erano quelle diventare professionista e uno dei modi migliori per farlo era quello di iscriversi in un buon club, se avesse avuto le idee più chiare sarebbe stato molto più semplice.
Sempre dalla borsa perse alcuni fogli di carta, fascicolati assieme da lui stesso, erano tutte le informazioni sui club di tennis delle scuole superiori che era riuscito a recuperare. Le aveva lette tante di quelle volte che aveva imparato tutto a memoria, la quantità di campi di ogni istituto, che tipi di allenamenti facessero, come fossero organizzato. Rileggere on gli bastava per poter fare una scelta.
Keigo stava tornando a casa, l'autista era andato a prenderlo come ogni giorno di fronte ai cancelli della Hyoutei.
Si era seduto sui sedili posteriori dell'auto, incrociando le braccia e accavallando le gambe. Quel giorno era più stanco, stressato e irritato del solito, le attività del club stavano diventando sempre più pesanti da gestire da solo, sopratutto visto che chi come lui frequentava il terzo anno doveva anche pensare agli esami di fine anno. Come se non bastasse un'altra ragazza gli aveva dichiarato il suo amore, la quinta quella settimana beh non gli dispiaceva essere nei lori pensieri, d'altronde lo sapeva di essere un bel ragazzo, ma non aveva tempo in quel momento per avere una storia d'amore, e questo sembravano non volerlo capire stressandolo ancora di più di come già non lo fosse.
Per rilassarsi incominciò a guardare fuori dal finestrino, non è che c'era molto d'interessante, l'unica cosa che riuscì ad attiralo fu un parco.
Decise di fermarsi per un po', magari stare da solo l'avrebbe fatto rilassarsi, disse all'autista di fermarsi facendogli sapere che l'avrebbe chiamato quand'era ora di tornare a casa.
Mentre passeggiava, intravide qualcosa, un campo da Tennis notando qualcuno allenarsi, gli ci vollero pochi secondi per riconoscere Tezuka.
Ah... Tezuka si sta allenando?” pensò mentre un sorriso comparve sul volto del ragazzo.
Pensava di approfittare del momento per poter studiare meglio lo stile dell'altro. Decise di affrettarsi, visto che un occasione come quella non sarebbe ricapitata tanto facilmente.
Arrivò pochi minuti dopo. Non che si aspettasse di vedere molto all'inizio, ma di certo non credeva che in quel lasso di tempo l'altro avrebbe interrotto i suoi esercizi.
Non gli servì a nulla rileggere quei fogli, la sua indecisione continuava a persistere. Finora era sempre riuscito a prendere una decisione da solo per quanto fossero difficili, ma stavolta non ci riusciva.
Sarà meglio andare a casa.” pensò guardando il cielo. “Si sta facendo tardi.”
Restò un altro paio di secondi osservando lo spettacolo sopra la sua testa, le nubi si spostavano mosse dal vento, desiderava che quella brezza portasse via tutta la sua confusione assieme a quelle nuvole.
Sospirò mentre iniziò a riporre tutto nella propria borsa, per prima cosa si assicurò che la borraccia fosse chiusa bene e che non perdesse acqua, poi posò i fogli, l'asciugamano con la quale si era appena asciugato. La racchetta la lasciò per ultima com'era sempre solito fare per essere la prima cosa che avrebbe preso una volta negli spogliatoi della Seigaku.
Era rimasto immobile osservando Tezuka, gli era bastato un solo sguardo per capire che qualcosa non andava in quel ragazzo. Dalla loro partita aveva capito che l'altro non era un tipo che lasciava trasparire le proprie emozioni e che avesse un forte autocontrollo.
Non che gli interessasse del suo stato, ma c'era qualcosa nel suo rivale, qualcosa che sembrava attirarlo in una maniera insolita. Non sapeva spiegarsi esattamente cosa stesse provando, era come incantato da quel ragazzo. Senza che se rendersene conto, si ritrovò di fronte a lui.
Tezuka era ancora intento a sistemare le sue cose nella sua borsa, doveva solo riporre la racchetta, cosa che avrebbe fatto se non avesse visto l'ombra di una persona che oscurava la zona.
Il ragazzo si domando chi potesse essere e quando fosse arrivato. Era certo di essere stato sempre solo quel pomeriggio fino a quel momento.
Non aveva nessuna idea di chi fosse, era sicuro che nessuno dei suoi conoscenti frequentasse quel posto. Si voltò per vedere chi era.
Non poté far al meno di notare la divisa della Hyoutei e gli occhi blu del capitano del club di Tennis che si trovava poco distante da lui.
Cosa ci fa qui?” pensò Tezuka.
Era la prima volta che vedeva Atobe in quel parco, non pensava che lo frequentasse. Immaginò che probabilmente anche lui era volesse allenarsi circondato in quel silenzio rilassante.
« Yo Tezuka!» salutò il suo rivale.
« Ciao Atobe. » ricambiò.
Keigo iniziò ad avvicinarsi alla panca dov'era seduto l'altro, Kunimitsu per educazione spostò la borsa in modo che l'altro se avesse intenzione di sedersi potesse farlo e fu quello che fece.
Non chiese il permesso al rivale, d'altronde invitato direttamente ad accomodarsi al suo fianco.
Riuscivano ad avvertire entrambi una forte tensione che impediva a tutte e due di rompere il ghiaccio.
Tezuka non era mai stato un tipo molto loquace e non sapeva quali argomenti interessavano al suo rivale, non poteva certo dirlo di conoscerlo bene, l'unico in comunque che gli veniva in mente al momento era il tennis.
« Ti va una partita Tezuka? » Anche Atobe non sapeva esattamente cosa dire e l'unica cosa che riuscì a chiedergli fu quello di sfidarlo ad una partita a tennis.
« Ok... »
Atobe si stava scaldando aspettava solo l'arrivo del rivale, fortunatamente aveva portato la sua con se, mentre l'altro prese la sua. L'altro non tardò e dopo poco raggiunse anche lui il centro del campo.
« Al meglio di un set? » chiese Atobe « Va bene? »
« Sì. » rispose l'altro.
« Inizio prima io. » A Tezuka quella non era sembrato affatto una domanda.
« Ok » disse dandogli la sua palla da tennis.
Chissà se è guarito.” pensò.
Batté il servizio, lanciando la palla di fronte al rivale, dal modo in cui l'aveva fatta tornare da lui, riuscì a capire che l'altro intendesse fare sul serio quella sera. Era un colpo preciso, diretto verso la parte opposta del campo. Per uno forte come, il migliore, non fu affatto difficile rispedirla da Tezuka calibrando la potenza della pallina in modo da fargli capire che anche lui avrebbe dato il meglio di se per vincere.
Quella partita era proprio quello che ci voleva, sentiva che tutto lo stress che aveva accumulato in quel periodo iniziava lentamente a svanire, quel ragazzo era uno dei più forti tennisti che avesse conosciuto. Aveva già avuto occasione di battersi con lui durante il torneo Nazionale, dopo una durissima lotta, era riuscito a vincere, anche se dubitava dell'esito se l'altro non si fosse infortunato.
Il Match non ebbe vincitori, il cielo stava ormai oscurando e continuare oltre senza una luce, perché quel campo non conteneva illuminazione artificiale, sarebbe stato difficile se non impossibile anche per due come loro, quindi interruppero la loro partita al punteggio di 3-3
Atobe in quella partita aveva capito che anche Tezuka era nella sua stessa situazione, gli era bastato solo osservare le sue spalle tese per capire che anche lui era stressato. Il rivale era il capitano della Seigaku e forse anche lui stava passando quel momento di stressante.
Keigo era seduto sulla panchina osservando Kunimitsu intento a sistemare le cose nella sua borsa.
« Hei Tezuka! » fece per attirare l'attenzione del rivale che si voltò sentendo chiamare il suo nome. « Hai già deciso dove andare il prossimo anno?»
Tezuka che in quel momento stava bevendo dalla borraccia, rischiò di farsi andare l'acqua di traverso.
Non riusciva a credere alle sue orecchie, possibile che avesse capito la sua indecisione? Lo spirito di osservazione di Atobe si spingeva davvero fino a quel punto?
« Non ho ancora preso una decisione definitiva. Tu hai già scelto? » chiese lui
« Andrò alla Mitsukawabi Gakuen.* » disse con un aria fierissima.
« Quella Mitsukawabi? » chiese Tezuka osservandolo
« Certo! » fece lui « Molti professionisti hanno frequentato quella scuola. »
Certo, è vero... ma avevano tutti parenti già affermati, o venivano da famiglie altolocate ” pensò Tezuka.
« Tu cosa farai? »
« Io? Ho intenzione di continuare col tennis e... »
« Allora perché non vieni anche tu? »
« Eh... preferisco una scuola normale... »
La Mitsukawabi Gakuen era stata fondata agli inizi degli anni 60 da un tennista che dopo il suo ritiro dedicò al sua vita alla formazione di nuovi talenti. Non era mai stata accessibile a tutti, solo i membri dell'alta società potevano frequentare quei corsi, e non tutti potevano però farcela, perché le selezioni per farne parte erano durissime, infatti tutti gli studenti dovevano vincere dei tornei per poter essere ammessi.
Non gli sembrava affatto strano che Atobe decidesse di frequentare proprio quella scuola, uno come lui poteva permettersi un lusso del genere.
« Potresti vincere la borsa di studio sai? »
Aveva sentito che il nuovo preside, in carica da ormai quattro anni, in quel lasso di tempo osservando i migliori tennisti finanziava i loro studi tramite delle borse di studio per permettere anche a ragazzi comuni di potersi iscrivere.
« ...mi stai sopravvalutando.»
« No ti sopravvaluto, conosco le tue capacità e so che riusciresti a farcela.»
Atobe si alzò in piedi avvicinandosi al rivale, sfiorando la sua spalla
« Ti aspetto al torneo per la Mitsukawabi. Ciao! » disse Atobe allontanandosi.
Non sapeva a volte cosa prendeva a quel ragazzo, da quello che aveva appena detto sembrava quasi che volesse frequentare la sua stessa scuola.
« Ci vediamo.» disse Tezuka prendendo la borsa mettendola sul braccio* destro tornando a casa sua con la sua indecisione.
NOTE
Quando ho iniziato a scrivere questa fan fiction non conoscevo ancora bene lo sviluppo del manga, ne di shin tennis no ouji-sama
Inizialmente ero anche indecisa se scrivere questa storia, appunto perché non conosco bene alcuni personaggi e tutte le sfumature dei loro caratteri, però alla fine ho deciso di iniziarla ugualmente.
*三川日学園: 3, fiume, sole/giorno Ci ho pensato molto a lungo e ho scelto dei Kanji che conoscevo e poi mi sono studiata tutte le pronunce scegliendo quelle per me sembravano più orecchiabili assieme.
* So che gli sportivi cercando di non sforzare il braccio che usano, visto che Tezuka è mancino la porta sul destro, ho anche controllato nel manga per averne conferma.*