lunedì 29 aprile 2013

Guardami! Chiami! Amami!



Guardami! Chiami! Amami!

Dopo degli allenamenti duri come quelli, non c’era niente di meglio che restare in ammollo nell’idromassaggio sorseggiando il suo champagne analcolico preferito. Era una delle cose che più lo rilassavano, avrebbe trascorso ore e ore in quel modo.
Gli esercizi quel giorno erano stati abbastanza duri e dannatamente stancati da fargli esaurire completamente le sue energie. Non si lamentava, non poteva farlo, doveva esercitarsi ogni giorno se aveva intenzione di diventare un professionista.

«Atobe…» Lo chiamò il suo coinquilino «… Ne hai ancora per molto?».
«Ho appena finito.» Rispose uscendo dalla vasca un po’ controvoglia.
Prima di uscire dalla stanza prese dal bagno un asciugamano legandolo poi ai suoi fianchi.

Avrebbe voluto restare ancora un altro po’ di tempo in acqua, però se Tezuka l’avesse appena chiamato significa che fosse davvero tardi.
In genere rispettava i suoi spazi non era un tipo invadente, non faceva notare la sua presenza, a volte sembrava che non dividessero neanche assieme la stanza talmente stesse per i fatti suoi. Era il migliore coinquilino che gli potesse capitare, però delle volte desiderava vederlo più complice, non che gli stesse male come fosse, semplicemente voleva vederlo più coinvolto in quel loro rapporto, alla fine era sempre così distaccato nonostante fossero già passati diversi mesi dall’inizio di quella loro relazione.
Non prendeva mai l’iniziativa e questo scoraggiava un po’ il ragazzo, doveva sempre essere lui a fare la prima mossa, non lo irritava la cosa, ma lo deludeva un po’.

Appena tornò nella camera non poté far a meno di notare che il suo coinquilino fosse disteso sul letto intento a leggere un altro romanzo.
Da una parte adorava l’atmosfera che circondava Tezuka quando leggeva, era come avvolto da un’aura particolare, quasi la stessa che aveva quando giocava a tennis, sembrava che fosse in un mondo a parte, un modo dal quale lui fosse escluso e la cosa lo irritava.
“Guardami! Guardami! Guardami!” pensò il ragazzo mentre l’altro non si accorgeva della sua presenza. “Non pensare a quel libro, sono qui! Guardarmi … Tezuka!”
Strinse le mani in pugno, così forte che sentiva le unghie nei palmi delle mani.
“Come puoi desiderare di più un libro che me? Come puoi … come puoi non volermi?”
Si sentiva ridicolo nell’essere geloso semplicemente di un oggetto, non aveva senso la cosa, eppure avrebbe dato di tutto per essere guardato dal rivale nello stesso identico modo con cui quest’ultimo s’immergesse nelle letture. Voleva far parte del mondo del compagno.

Andò a prendere il phon nell’armadio della loro nella stanza, aveva già perso troppo tempo per colpa della sua ridicola gelosia.
Iniziò ad asciugarsi i capelli, prendendo tutte le sue spazzole e pettini di cui aveva bisogno. La sua pettinatura doveva essere perfetta, come ogni giorno.
Li curava con i migliori prodotti sul mercato, perché oltre che una bella pettinatura dovevano essere sanissimi, balsami per renderli morbidi e setosi, maschere per rafforzarli, creme per idratarli, e tutto quello che serviva per renderli perfetti, i più belli di tutti.
Quando finì, ripose tutti gli strumenti che aveva appena usato.

I suoi occhi si posarono nuovamente sul ragazzo con cui condivideva la stanza.
Stava ancora leggendo, sfoggiando quello che fosse un sorriso.
In tutti i mesi in cui avevano iniziato a frequentare lo stesso liceo, non aveva mai visto un’espressione così serena sul volto del suo compagno di stanza. Un po’ era felice della cosa, ma dall’altra parte sapere che non fosse rivolto a lui, bensì a un banalissimo libro, un semplice oggetto, un qualcosa senz’anima che non avrebbe mai compreso cosa significasse quel semplice gesto.

Iniziò ad avvicinarsi a quello che lui considerava il suo ragazzo.
Sì, per lui Tezuka non era solo un rivale o un amico, ma lui era la persona del quale fosse innamorato, una delle persone più belle e meravigliose che esistessero al mondo, dopo di lui ovvio.
Voleva essere considerato, desiderava essere amato dall’altro, non voleva solo il suo corpo, voleva il suo cuore.
Atobe era a due passi da Tezuka, ma nonostante questo il ragazzo continuava a tenere lo sguardo immerso nel libro.
Una voce dentro di lui gli gridava di gettarlo via e buttarlo in un lato qualsiasi della stanza, ma non poteva farlo, sapeva che l’altro si sarebbe arrabbiato e non era affatto quello che desiderava. Salì semplicemente sul letto mettendosi al suo fianco.
«Atobe, cosa c’è?» Chiese il coetaneo ritrovandosi l’altro quasi appiccicato non lo guardò in volto continuando a leggere, avvertendo però lo sguardo dell’altro sopra di se.
La camicia bianca leggermente sbottonata del coinquilino, lasciava intravedere il collo del ragazzo, Atobe non potette fare al meno di non osservarlo, sembra aver scritto “BACIAMI” a caratteri cubitali, era dannatamente invitante e la sua resistenza davanti a quelle richieste, forse involontari di Tezuka, era dannatamente bassa e si ritrovò a baciarglielo.
«Atobe, non ora.» Disse cercando di scacciarlo prima che le cose procedessero oltre, «È quasi ora di dormire.».
Nulla, non si fermava continuando nella sua impresa.
«Atobe, fermati.» Continuò a insistere, cercando di staccarlo dal suo corpo ma era forse la cosa più difficile del mondo, quando iniziava a fare certe cose era del tutto impossibile fermarlo.
“Se continua ancora … io…” «Atobe … basta…».

Era stanco per gli allenamenti, quel giorno erano stati massacranti, anche lui doveva essere nelle sue stesse condizioni, ma questo di certo non l’avrebbe fermato, ormai aveva imparato a conoscerlo.
Non era solo colpa di Atobe alla fine, anche lui non aveva mai la forza di resistergli, anche quel giorno sarebbe finito come al solito modo.

Iniziò a sbottonare la camicia, intento a baciare, leccare e morde la magnifica pelle di Tezuka che quel giorno aveva un profumo davvero intenso e non potette fare al meno di aumentare la sua voglia di lui.
Scese sempre di più poggiando le sue labbra su ogni angolo del petto del suo compagno. Lecco tutta la zona seguendo una sorte di linea invisibile, quella era una sua parte davvero sensibile, quando la stuzzicava in quel modo, sentiva il corpo del rivale iniziava a risvegliarsi.
«Nhmmh…» Gemette l’altro. «A … tobe.»
Iniziò poi a leccare e succhiare con avidità un capezzolo stuzzicando invece l’altro con la mano, un’altra delle cose al quale il corpo di Tezuka rispondesse.
«Ti stai eccitando, vero Tezuka?» Chiese sussurrandogli all’orecchio.
“Logico se tu … se tu … mi faccia questo…” pensò il ragazzo.
«Sì non c’è dubbio.» Disse guardando il volto del suo partner che non riusciva a nascondere l’eccitazione che man a mano cresceva sempre di più.
Le guance erano completamente arrossate, gli occhi ormai già completamente lucidi, il respiro iniziava ad affannarsi, segno che stava per raggiungere il limite.
“Guardami Tezuka! Guardami con questo sguardo, Guardami….” pensò avvicinando le sue labbra a quelle del suo coinquilino. «Guardami … Guardami Tezuka! Guardami!»
«A … Atobe?!»
Sentì le labbra di Atobe sulle sue, quelle labbra che da un po’ di tempo non facevano altro che baciarlo con passione, baci ai quali non riusciva mai a resistere.

La lingua dell’altro che cercava la sua insinuandosi all’interno della bocca gli faceva provare qualcosa d'indescrivibile, non riusciva a pensare a nulla in quei momenti, esistevano solo loro due, diventavano un tutt’uno.
Ogni suo poro desiderava essere baciato, e quanto più lo facevano più quella sua voglia, aumentava.

Il libro che teneva fra le mani gli scivolò via finendo per cadere sul pavimento.
Non poté fare al meno di abbracciare le spalle di Atobe con le mani ormai libere, mentre l’altro con una mano iniziò a togliere il pantalone sfilandoglielo lentamente.
Tezuka iniziò strinse i capelli dell’altro fra le sue mani, man mano l’aumento della passione del loro bacio.
Profumavano di rose, un inteso odore che su un ragazzo avrebbe stonato, ma non su di lui, era strano ma su Atobe sarebbero stati bene qualsiasi fragranza, anche se femminile.
“Vuole andare fino in fondo anche oggi.” Pensò appena avvertì la mano di Atobe palpare le sue parti basse.

«Sei già in queste condizioni?» Chiese Atobe dopo aver ormai staccato le labbra da quelle di Tezuka.
Ormai i boxer del ragazzo non riuscivano a nascondere l’evidente erezione, non era in grado di resistere a quella tentazione, dovette sfilarglieli.
Fino qualche mese prima, Atobe non avrebbe mai pensato che avrebbe fatto cose del genere con un ragazzo, ma con Tezuka era diverso lui era speciale, era capace di fargli crescere strani desideri, irrefrenabili, passionali, peccaminosi.
Voleva in fondo fargli capire con quei gesti quanto in realtà l’amasse, per lui in fondo non era solo sesso, non più ormai, amava follemente quel ragazzo, ma dubitava che per l’altro fosse lo stesso.
“Amami! Amami Tezuka!” pensò afferrando l’erezione dell’altro.
«A…to…be…» Disse il ragazzo quando il compagno glielo prese fra le mani «Co … Cosa … ah, non fa…rlo!»
Atobe avvicinò la sua bocca sfiorando la punta del pene dell’altro con le labbra, delicatamente con la lingua iniziò a leccarlo più e più volte ripercorrendo più e lo stesso percorso.
«Ti piace, vero Tezuka?» Chiese il ragazzo osservando il volto paonazzo dell’altro.
Amava vedere Tezuka raggiungere il limite della sopportazione, adorava vederlo perdere la testa per il piacere, voleva farlo impazzire, era una cosa che ama fin dal profondo del suo cuore.
«Nhmm… Ato…be…» Gemette l’altro.
Ci stava riuscendo, ormai sembrava sul punto di cedere, a quel punto non potette fare al meno di prenderlo in bocca cercando di dare a Tezuka più piacere che potesse.

Come poteva descrivere ciò che provava in quel momento? Era impossibile, sapeva solo che le sensazioni che sentiva fossero così intense da travolgerlo completamente..
«Ah…» Gemette quando sentì le labbra di Atobe circondarlo completamente.
L’interno della bocca di Atobe era completamente umida, calda, anzi era bollente, sentiva come del fuoco addosso che esplodeva ogni istanti che lo succhiava.
“Di questo passo … io…” pensò tappandosi all’improvviso la bocca con la mano. “…impazzirò…”
Non riusciva a sopportare tutto quel piacere, era veramente troppo per lui.
“Gli sta piacendo. Ovvio, sono il migliore!” pensò Atobe soddisfatto delle sue capacità.

Al ragazzo non stava giù che l’altro si nascondesse in quel modo, voleva sentire i suoi gemiti, il suo caldo respiro affannato, infine, desiderava udire il suo nome gridato dall’altro in preda alla passione.
“Chiama il mio nome, fammi sapere che mi desideri con tutto te stesso!”
Sì fermò per un istante restando immobile senza far nulla, notò che Tezuka avesse abbassato gli occhi su di lui.
Riusciva a intravedere un senso di disappunto in quel guardo eccitato, dentro di se sì sentiva davvero soddisfatto della cosa, decise di tormentarlo un po’ sperando di ottenere l’attenzione che voleva e di quel passo ci sarebbe riuscito, non avrebbe resistito.
«At…be…»
“Esattamente come avevo previsto” pensò orgoglioso di stesso.
«Ato…be…»
“Ancora Tezuka, chiama ancora il mio nome, desiderami.”
«Atobe!»
“Il gioco è fatto”
«Atobe! Atobe! N… no…n fer…marti.»
Lo baciò d’impulso, con suo grande stupore del ragazzo che non si aspettava un gesto così improvviso.
“Tezuka! Perché, Perché sei così irresistibile?”
Sentiva il corpo del coinquilino contorcersi, non avrebbe retto più di quello, usò la mano per concludere il lavoro che aveva lasciato interrotto mentre le sue labbra erano ancora unite a quelle dell’altro.
Venne poco dopo sporcando il petto di Atobe. Non era arrabbiato, non sarebbe mai potuto esserlo, non se apparteneva a Tezuka, il suo amato Tezuka.

Il ragazzo aveva il respiro affannato, avrebbe voluto riprendersi, ma sapeva che non fosse ancora finita, all’altro non sarebbe mai bastato, lo conosceva bene ormai.
Infatti, come aveva previsto, eccolo già pronto.
“Almeno dammi il tempo di riprendermi.” Pensò mentre sentì le dita fare pressione per entrare dentro di lui.
Iniziò a penetrarlo per preparare il corpo del ragazzo per l’ultimo round.
«Ah … Atobe…» Gemette. «Ah…!!»
Atobe ormai conosceva benissimo i suoi punti sensibili di Tezuka e sapeva cosa stimolare.
«Fra un po’ sarai pronto.» Sussurrò all’orecchio con un respiro talmente caldo da farlo bruciare completamente «Abbi solo un po’ di pazienza.»
Non era Tezuka ad aver bisogno di pazienza, ma lui. Non resisteva più, doveva farlo suo, doveva entrargli dentro e farlo impazzire dal piacere a ogni spinta, ma non avrebbe mai penetrato l'altro senza un minimo di preparazione.
“Devo aspettare un altro po’, solo un altro po’.”
«Ti voglio Tezuka … ti … voglio…» Disse Atobe sfilando le dita. «Mi desideri anche tu, vero Tezuka?»
«Ato…be … Ato…be Ato…be …» Lo prese come un sì.
Non poteva resistere oltre, quella gli era sembrata quasi una supplica come se lo volesse, la cosa gli fece perdere il controllo.
«Apri le gambe.»
Tezuka non riuscì a rifiutarlo divaricandole in modo che l’altro potesse entrare dentro di lui.

Era inutile, non poteva resistere, alla fine lui amava stare con Atobe e non poteva fare al meno di cadere ai suoi piedi ogni volta.
Quando Atobe lo penetrò, sentì dei brividi, la mente gli si svuotò del tutto, era solo in balia del piacere.
Mise le braccia attorno al corpo del compagno, stringendolo il più forte che potesse. Incominciò con le mani a percorrere la schiena sua, accarezzando la sua pelle, ormai completamente impressa di sudore.
«Atobe … Atobe! Atobe!» Gridò il ragazzo.
Gli occhi dei due s’incrociarono in quell’istante, rimasero a guardarsi per interi secondi completamente rapiti l’uno dell’altro.
«Tezu…ka…» Sospirò nell’orecchio del compagno. «Tezuka … sei così caldo e stretto, è magnifico…» Disse continuando a spingere dentro di lui mentre con una mano afferrò il viso dell’altro baciandolo di nuovo con la stessa passione di sempre. Fu proprio quel gesto finale a provocare il suo orgasmo, facendolo venire prima delle sue aspettative.

Le uniche cose che si udivano in tutta la stanza, erano i respiri affannati dei due tennisti, ormai completamenti stanchi.
Atobe era disteso sul lato osservando di fianco a se Tezuka, quest’ultimo si era appena addormentato. Aveva un’espressione così rilassata tanto da fargli crescere una tentazione di posare le sue labbra su quelle del rivale dandogli un bacio a stampo.
Sorrise, mentre con una mano spostò i capelli, baciandogli anche la fronte, mentre con l’altra prese il lenzuolo del letto riponendolo sopra il corpo di Tezuka.
«Atobe.» Disse il ragazzo nel sonno.
“Cosa stai sognando?” si chiese fra se sorridendo “Qualcosa di bello immagino.”
«Buonanotte.» Disse baciandolo nuovamente prima di addormentarsi.

NOTE
Il titolo in verità avrei voluto scriverlo in giapponese, ma non sapendo formulare bene la frase ho deciso di scriverlo in Italiano, ma Atobe userà la forma “Ore-sama”, personalmente mi stonava scriverlo “Guarda Ore-sama! Chiama Ore-sma! Ama Ore-sama!”
In italiano si perde la cosa ma scriverlo in quel modo mi stonava parecchio.
La storia è nata mentre sviluppavo un’altra trama che stavo scrivendo, è comunque è qualcosa che ho scritto più perdere il tempo che per altro.
Non sono ancora bravissima a descrivere scene di sesso, scusate se non vi soddisfa.
La storia è una spinoff di Mistukawabi Gakuen, di cui sto ancora scrivendo il primo capitolo.

domenica 20 gennaio 2013

The Protector: Atto Quattro

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Atto quattro

Yadaw indossò velocemente l'armatura, per raggiungere sua sorella che nel frattempo l'aveva già preceduto fuori dal palazzo reale.
Lui era il più grande di tre fratelli e si sentiva in dovere di proteggerli, gli aveva visti crescere lui era già abbastanza grande quando nacquero. Erano così piccoli ed indifese che già allora decise che avrebbe fatto qualsiasi cosa per la loro incolumità.
Ricordava ancora quando fossero felici i suoi genitori quando nacque il loro secondogenito che aveva ereditato la voglia del loro nonno morto cinquemila anni prima, lui che conosceva già la storia del suo antenato sapeva quando fosse importante e fu proprio per quel motivo che decise che mai avrebbe permesso a qualcuno di fargli del male, era suo fratello maggiore dopotutto.
Non solo si sentiva in dovere di difendere i suoi familiari, ma tutto il regno in quanto erede al trono, sopratutto voleva farlo per sua madre, che negli ultimi anni la sua salute s'era aggravata molto.

Non riusciva più a stare in piedi ed era costretta a letto. La sua faccia ormai completamente stravolta, era deperita molto il viso era completamente scavato, a coprire il volto ormai c'era solo uno strato sottile di pelle che si deteriorava sempre di più. Era malata, malata di vecchiaia. Era vissuta a lungo, troppo a lungo, aveva visto la precedente battaglia, ed aveva visto con i propri occhi la morte del proprio padre.
Doveva essere stato difficile per sua madre vedere morire l'uomo che per anni aveva governato sovrano del loro regno, proteggendo da tutti quelli che incombevano per impadronirsi della sua forza, per anni ci era riuscito, fino a quando Hebys non fu talmente assoggettato dalla sete di potere da perdere completamente la testa, una minaccia che gli costò la vita.
Ricordare la storia, gli faceva credere quando fosse forte l'amore che suo nonno provava per i suoi sudditi, per lui era un esempio da seguire, aveva sempre sperato di diventare un demone forte e coraggioso come lui.


Mashiya osservava il cielo, ormai la cima della montagna era completamente circondata da quell'ammasso di nubi che diventava sempre più scuro.
Quella visione le faceva provare solo una terribile angoscia, il suo petto si strinse in una morsa oscura a furia di tenere gli occhi fissi, avvertiva una terribile sensazione, una pesantezza che le impediva quasi di respirare, era terribile.
Cercò di pensare più volte a cose positive, come al fatto che suo fratello stesse ritornando dopo tutti quegli anni, poteva finalmente vedere il ragazzo che quest'ultimo aveva cresciuto con le sue forze, ma sopratutto non vedeva l'ora di essere fra le braccia di Kehor, il suo ragazzo.
Stavano insieme da diversi anni, poco dopo la partenza di Kegyto, Kehor aveva incominciato ad insegnare alla ragazza alcuni incantesimi curativi, sotto consiglio dei sue due fratelli, essendo entrambi specializzati in magia nera pensarono fosse meglio che almeno un membro della loro famiglia conoscesse la magia bianca che in battaglia era sempre utile, fu proprio per quella richiesta che fra i due nacque una storia d'amore.
«Kehor, quando ci metterà ad arrivare?» Domandò ad alta voce la ragazza. «Le cose non stanno affatto andando bene.. ho paura..»

Yadaw poco dopo raggiunse la sorella.
Era stanco ed affaticato, aveva corso come un forsennato per poter arrivare l'uscita della dimora, non era abituato a correre, nonostante avesse fatto ore e ore di allenamento da ragazzo, era forte ma un suo difetto era la scarsa resistenza, era forse quello dei tre che si stancava più facilmente, un ostacolo al suo sogno di diventare un eroe come suo nonno.
Restò un po' fermo ad osservare il volto preoccupato di Mashiya, dal suo sguardo traspariva tutta la preoccupazione che sentiva quest'ultima, l'abbracciò per confortarla, era l'unica cosa che in quel momento sapeva di poter fare.
«Andrà bene vedrai.» Disse verso la più piccola.
«Spero che tornino presto, non so se riuscirò a fare molto, conosco solo magia bianca, voi due avete insistito per il fatto che io imparassi quella.»
«Cerca di capire, una guaritrice fa sempre comodo alla fine, ma sei abile con la spada.»
«Eh già.. nostro padre c'insegno a combattere, era un grand'uomo..» Tristi ricordi riaffiorarono nella mente della giovane principessa, dolorosissimi che la fecero piangere ancora una volta. «È per colpa mia s'è morto..»
«Non sapevi che quel fiore fosse tossico, non fartene una colpa..»
«Non pensiamo al passato!» Disse la ragazza andiamo asciugandosi la mano.
Il senso di colpa continuava a divorarla, fin da quando era una bambina.
Aveva sempre amato i fiori, un giorno come faceva spesso uscì per trovarne alcuni da regalare ai suoi familiari, trovò quello che pensò fosse il più bello di tutti.
Ricordava ancora il viola intenso di quei petali, con quelle piccole sfumature rosacea che creavano alcune onde sui petali, decise subito di donarlo al padre, non sapendo che quella sarebbe stata la causa della sua morte. Neanche i poteri di Kehor riuscirono a far nulla per salvare la vita, il miasma velenoso aveva ormai completamente annientato tutte le sue difese immunitarie. Mashiya ne aveva respirato poco, quindi per l'angelo fu facile salvare la vita. Non avrebbe mai perdonato se stessa per essere stata la causa della morte di suo padre. Nessuno dei suoi fratelli neanche sua madre sembrò dargliene una colpa e questo non l'era mai stato di conforto.

«Mashiya..»
Yadaw aveva sempre saputo del dolore che sua sorella continuava a portarsi dentro, avrebbe in qualche modo voluto aiutarla, ma sapeva che nulla le sarebbe stato d'aiuto, era uno shock troppo radicato.
Voleva proteggerla, voleva che si dimenticasse di tutto e che tornasse la ragazza allegra e solare che era un tempo, forse era impossibile un trauma come quello non lo si superava così facilmente, anzi credeva proprio che fosse impossibile da scordare.
«Facciamo presto.» Disse rivolto alla ragazza sperando che cambiando discorso potesse in qualche modo migliorare il suo umore.

I due iniziarono a dirigersi verso la stalla, il monte distava parecchie ore dal loro palazzo, e tutti quei chilometri a piedi erano davvero troppi, anche perché la salita era ripidissima e quasi impossibile da percorrere a piedi, ma con un animale come un cavallo forte ed agile la salita era molto più semplice, nonostante fosse lo stesso complicato.
Decisero di prenderne uno solo, entrambi sarebbero saliti sullo stesso destriero, uno stallone, il più forte ed impavido di tutti, era possente dal manto completamente rosso e criniera dello stesso colore, gli occhi enormi che tendevano al verde, si chiamava Mashor come il loro defunto padre, il nome lo scelse proprio sua madre, disse gli somigliava in un modo incredibile.
Yadaw salì sulla sella, aiutando poi la sorella minore a farla accomodare dietro di lui.
«Tieniti forti, andremmo veloci»
Una delle abilità dell'erede al trono, era proprio cavalcare, non esisteva nessun cavaliere più bravo, neanche suo fratello Kegyto era alla sua altezza.
Il primogenito era talmente abile che riusciva a domare i cavalli più ostile, era un vero mastro in quel campo, nessun destriero riusciva a non sottostare ai suoi ordini, era come se il demone avesse qualcosa che rassicurasse gli animali, lui capiva i loro linguaggio e a sua volta faceva sì che questi ultimi lo comprendessero facendosi amare da loro, aveva un rapporto speciale con tutti gli esseri viventi.
Mashor era agile e veloce, scalare la montagna con l'aiuto di quel cavallo non fu particolarmente difficile, il sentiero che percossero era abbastanza spazioso e non c'erano ostacoli che non riuscì a superare ed evitare.


Il cielo in quel momento non augurava nulla di buono, le nubi erano talmente scure che l'angoscia di Mashiya non faceva altro che aumentare.
Erano di nero innaturale, sembravano quasi scature dalla malvagità di Hebys, al pensiero che il sigillo si stesse per spezzare, la ragazza era spaventata a morte. Non era una tipa che aveva paura di molte cose, ma il solo pensiero che quel demone stesse per risvegliarsi la terrorizzava a morte in qualche modo.
«Le cose non sembrano andare bene..» Disse il primogenito. «Mashiya è meglio se torni a casa per chiedere rinforzi.»
«Ma non possiamo..»
«Mashiya senti, la cosa è più grave di quel che immaginassimo»
«Non ti lascio solo!»
«Mashiya, ti prego!»
«Ma..»
«Niente gmah!» Disse il principe alzando la voce. «Vai a casa, chiama rinforzi e ritorna poi, io andrò a dare un occhiata»
«Yadaw! È pericoloso»
«Mi dispiace, Mashor riportala a casa.» Disse accarezzando il muso del cavallo. «Conto su di te»
«Yadaw
Il fratello diete un colpo al callo che iniziò ad allontanarsi sempre di più.
Era dispiaciuto di aver mandato via così la sorella, l'aveva fatto solo per proteggerla il suo istinto gli aveva detto che fosse la cosa migliore da fare, era troppo pericoloso per la ragazza ed era suo compito in quanto suo fratello maggiore ed erede al trono prendersi cura di lei.

Il demone iniziò ad avanzare, facendo attenzione ad ogni minimo suono che sentiva. Aveva udito molto sviluppato, sopratutto quando di trovava in mezzo alla natura selvaggia riusciva ad avvertire il respiro degli animali, il fruscio delle foglie mosse dal vento e persino il suono della rugiada che alla mattina presto cadeva sul suolo.
Quel giorno però era tutto estremamente silenziosa, una cosa che Yadaw aveva imparato era che quando c'era un pericolo imminente gli animali scappavano come se avvertissero prima quello che stesse per accadere.
Era pericoloso, fosse davvero più di quello che avesse immaginato, si chiese se avesse fatto bene a far allontanare la sorella.
gE se fosse una trappola?h si chiese fra se e se continuando a guardare dove mettesse i piedi.
Era quassi arrivato al sigillo, mancavano pochi altri passi e si sarebbe trovato davanti alla più grossa gabbia magica che esistesse sulla faccia del pianeta.
Il cuore del principe batteva a mille, era terrorizzato, ma allo stesso eccitato, aveva sempre desiderato poter mettere alla prova le sue capacità e finalmente avrebbe potuto dimostrare le sue capacità.
Si nascose dietro un enorme roccia, scrutando bene nei dintorni prima di buttarsi alla cieca. Non era un tipo impulsivo, non troppo almeno, e prima di compiere una qualsiasi mossa avventata rifletteva sulle azioni giuste da compiere. Gli avevano insegnato che un vero re non dovesse prendere decisioni sul momento e che dovesse analizzare bene la situazione, sopratutto durante una guerra come questa.


Le nubi iniziarono man mano ad espandersi, coprendo tutto il cielo e una pioggia fittissima iniziò a scendere storta spinta dal fortissimo vento da essere così potente da riuscire a sradicare anche i fiori dal terreno circostante, in tutto quello ci si mettevano anche i lampi e tuoni, così rumorosi che la terra sembrava tremare.
Nell'aria assieme a tutto quello Yadaw avvertì delle grida disperate, tormentate, lanciate da una voce malvagia e piena di rabbia, si trattava senza dubbio di Hebys, era qualcosa di straziante, non sapeva il motivo ma era quella la sensazione che provava, un dolore all'interno di se stesso che gli oscurava completamente il cuore.
gCos'è questa sensazione.h si chiese il demone, toccandosi il petto completamente dolorante.
Era senz'altro opera della malvagità di Hebys, doveva essere quello il motivo non c'era dubbio, ma sentiva anche qualcos'altro, proveniva dal suo animo, un insolito dolore.

Le grida diventavano sempre più udibili, e sempre più forti, fino a quando non si sentì un grosso scoppio.
«Sono Libero!!!!!!!!» Disse una voce malvagia dopo un ultimo malvagio grido.
Era Hebys che si era liberato dal sigillo impostogli cinquemila anni addietro e finalmente poteva vendicarsi.